Che il mondo non diventi il “giardino di casa” dei potenti

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Non c’è dubbio che per chi auspicava un mondo più giusto, più solidale e pacifico, un mondo in cui la parola “diritti” avesse realmente senso per chiunque, al di là del colore della sua pelle, della propria origine etnica o sociale, del proprio sesso, o della propria religione, questi tempi appaiano quantomai bui e nefasti. Quello che è successo le scorse settimane in Brasile, l’arresto del ex presidente e favorito per la vittoria alle prossime presidenziali ( i sondaggi lo davano oltre il 70 % dei consensi) Luiz Inácio da Silva detto Lula, dimostra non solo che la via che porta costruzione di un mondo migliore è lunga e tortuosa, ma ci ricorda, soprattutto, che contro di essa, oggi forse più di ieri, è in atto una vera e propria guerra da parte dei grandi gruppi economici e finanziari mondiali e dei governi neo-liberisti ad essi favorevoli: costoro, come sempre, ogni qualvolta avvertono il pericolo di una riscossa culturale e politica dei ceti più poveri di una nazione, o di un continente, che possa minacciare i loro interessi in quei luoghi, affilano le “armi” per decapitarne le leadership.

I metodi impiegati da questi signori per rovesciare queste rivoluzioni non violente sono in parte gli stessi del passato, ovvero la corruzione e l’impiego dei militari. Corrompere anche solo un membro di questi movimenti popolari e poi gettarlo in pasto ai media, quasi sempre al servizio di gruppi economici locali e internazionali, significa danneggiarli non poco. Ciò che li avvicina ai ceti popolari, rendendoli empatici, è la speranza, che suscitano nei ceti più disagiati,  in una società più giusta: una macchia del genere può minare profondamente il rapporto di fiducia di quest’ultimi  nei loro confronti e ridurre notevolmente il loro appoggio nel processo di cambiamento di quel paese.

L’impiego dei militari, i cui capi di stato maggiore sono il più delle volte a busta paga dei grandi capitalisti locali e internazionali, è prassi vecchia, soprattutto nel continente sudamericano e africano, da sempre considerati dagli USA e dalle potenze europee il loro giardino di casa: sono più che note le sanguinarie giunte militari che hanno caratterizzato la storia politica recente di molti paesi di quelle aree del mondo. Come pure sono note, in quanto documentate, le loro collusioni con i grandi capitalisti e le grandi banche. Ma come si sa, in guerra, se si vuole vincere, si deve essere sempre un passo avanti al nemico; e visto che per i capitalisti e neoliberisti, da sempre, quella contro qualsiasi partito o coalizione progressista (e/o a vocazione populista) è una vera e propria “guerra”, hanno pensato di aggiornare il loro “arsenale”. In questi ultimi anni, ogni qualvolta la maggioranza dei cittadini di uno stato “alleato”, o, per meglio dire, soggetto economicamente alle potenze economiche mondiali, ha deciso di eleggere governi disposti a ribellarsi alle politiche liberiste imposte dai loro “amici” stranieri e favorire politiche sociali, puntualmente, le intenzioni di questi neo-governi progressisti e popolari sono state rallentate, per non dire frenate, da crisi borsistiche programmate, il cui palese scopo è stato quello di intimargli di cambiare rotta e di allinearsi alle politiche dei loro “alleati”; diversamente, nulla avrebbe evitato a questi paesi il default economico.

A tal proposito, tutti ricorderanno le minacce  della Troika e del FMI, nel 2015, alla Grecia e al governo di Syriza, che, in barba agli accordi presi con la Commissione Europea dal precedente governo conservatore di Samaras (tra l’altro, principale responsabile della crisi), intendeva avviare un piano di aiuti e investimenti pubblici al fine di ridare ossigeno a quelle classi, come pensionati e disoccupati, soffocati da anni di decrescita economica. Ma il ricorso a “crisi economiche” programmate non è l’unico nuovo accorgimento ideato dalle potenze neo-liberiste per rovesciare i governi di sinistra. Il controllo del potere giudiziario dei paesi già economicamente dipendenti dalle economie straniere è l’ultima grande trovata degli Stati Uniti e dei loro amici europei (soprattutto Gran Bretagna, Francia, Germania). Lula non è l’unico leader populista del Sud-America perseguitato dalla giustizia: anche Cristina Fernández de Kirchner, già presidente d’Argentina, e leader di Unidad Ciudadana, fronte populista concorrente al governo neo-liberista di Cambiemos e di Mauricio Macri, è sotto processo per un presunto reato di  corruzione. Anche nel suo caso, tutto sembra orchestrato dal governo in carica, il quale intende impedire in tutti i modi che la sua principale avversaria, la quale ancora gode del grande sostegno di buona parte dei ceti popolari argentini, possa presentarsi alle prossime elezioni del 2019, e magari vincerle.

In paesi come Brasile ed Argentina, ma un po’ in tutto il Sud-America, il potere giudiziario dipende, in molti aspetti, da quello esecutivo; per cui, è assai probabile che, per motivi di carriera, un giudice, se non addirittura un’intera corte, possa mettersi al servizio del governo di turno. In tal senso, i sospetti sul giudice Sergio Moro, principale accusatore del ex presidente Lula, sono numerosi. Figlio di un dirigente del PSDB di Temer (presidente del governo di centro-destra), il giovane procuratore generale si è formato negli Stati Uniti e vanta tra le sue amicizie yankee molti esponenti di spicco del partito repubblicano. Ovviamente, qui non si sta insinuando nulla, ma se si pensa che questo signore a 26 anni era già procuratore generale, quando solitamente tale carica si raggiunge solo dopo molti anni di esperienza giudiziaria; inoltre, se si tiene in conto che, in Brasile, è prassi comune, per le famiglie facoltose (come quella di Moro), comprare le cariche pubbliche, anche quelle più importanti, allora diciamo che qualche dubbio sulla sua presunta “neutralità” sembra legittimo. Come si può vedere, sono molti gli attacchi esterni a cui, oggi più che mai, sono soggetti i movimenti di sinistra nel mondo.

Eppure il nemico non è solo esterno: la sinistra soffre di alcuni mali endemici che, in questi tempi di nostalgie reazionarie e nazionalistiche, rischiano di condannarla all’anonimato, se non addirittura alla totale scomparsa. Uno di questi consiste sicuramente nella prassi politica di buona parte dei partiti socialisti o socialdemocratici, soprattutto europei, di inseguire, in particolar modo su questioni come l’immigrazione e l’economia, le politiche dei partiti di destra. Da questo punto di vista, i maggiori dirigenti di queste forze, da Renzi a Hollande, da Sanchez a Schulz, sembrano aver perso di vista le proprie tradizioni: non si può chiedere il favore alle classe operaie, ai disoccupati, ai pensionati, e poi avallare, se non addirittura realizzare, riforme del lavoro o delle pensioni che vanno a danneggiare proprio queste classi sociali,   e non le grandi imprese, che anzi, in questo modo, continuano ad incrementare i lor capitali. Ma anche la cosiddetta “sinistra radicale” non è immune da difetti congeniti. Il suo principale limite, che pertiene tanto ai semplici militanti quanto ai loro (piccoli) “leaders”, è la loro presunzione di purezza. Molti di essi presumono sempre di stare più a sinistra degli altri, di essere più “compagni” degli altri, e questo è uno dei motivi per cui in molti paesi del mondo, e soprattutto in Italia, appare quasi impossibile creare un fronte unitario di forze popolari. Sembra quasi che per questi sedicenti “compagni” sia più importante auto-proclamarsi “socialista” che agire come tale. Per chiarire quanto appena detto, vi riporto una mia esperienza recente.

Qualche giorno fa sono stato invitato, qui a Buenos Aires, alla Conferenza Internazionale per la costruzione della IV Internazionale, organizzata dal Partido Obrero,  a cui hanno partecipato molte delegazioni di movimenti di sinistra di tutto il mondo. Al di là del linguaggio alquanto antiquato (l’uso di anacronistiche categorie linguistiche avrebbe fatto inorridire persino Lenin e Trockij), ciò che mi ha veramente stupito, ed anche irritato, erano le accuse di tradimento rivolte ai vari Lula, Kirchner, Correa, Chavez, ecc.. Secondo la maggioranza dei delegati che hanno preso la parola, tutti costoro erano colpevoli di essere scesi a compromessi con i capitalisti per realizzare le loro politiche rivoluzionarie a favore dei ceti popolari; nessuno degli intervenuti alla conferenza che abbia fatto mia culpa, ovvero che abbia messo in dubbio la propria strategia politica di NON appoggio a questi governi popolari.

Qui sta il limite di questi “puristi di sinistra”: inneggiano alla rivoluzione, ma poi, quando emerge qualcuno veramente disposto a farla, come Lula ad esempio, gli negano il loro appoggio e l’accusano di essere filo-borghese. La Sinistra mondiale deve capire che quelli attuali non sono tempi in cui si può giocare a chi, del socialismo, “è più duro e puro”, perché le destre sono ritornate più aggressive e, soprattutto, più violente che mai. Questo è il momento di mettere da parte gli atteggiamenti bigotti, le gelosie e le rivalità, e creare un unico grande movimento popolare, antifascista, ambientalista e antimperialista. Non si ritorni a commettere l’errore delle forze socialiste e comuniste tedesche a cavallo degli anni 20 e 30, che per non volersi unire in un unico fronte di sinistra, lasciarono campo aperto alla salita al potere del pazzo caporale austriaco. La Sinistra non può permettere (e permettersi) che i fautori del neoliberismo trasformino tutto il mondo nel loro “giardino di casa”.

                                                                                                                 Antonio Sparano

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