Riceviamo e pubblichiamo integralmente
Che il Senatore di Rignano sull’Arno, Matteo Renzi, soffrire di crisi isteriche e di smanie di protagonismo, era noto ai più da tempo. Il ricordo di quella direzione del 13 febbraio 2014, quando da Segretario del Partito Democratico poneva a suon di “Enrico stai sereno” la sfiducia costruttiva su Letta, autoproclamandosi salvatore indiscusso della Patria, anche grazie all’accordo con il Luicio Qurizio Cincinnato della politica moderna, Silvio Berlusconi (l’Highlander di Arcore), ribattezzato come “Patto del Nazareno”.
Ancora più recente e amaro, è il ricordo della notte delle liste per le elezioni del 4 marzo 2018 – il “cesaricido del PD e della sinistra italiana – ovvero quando con accordicchi di potere, nelle stanze del Nazareno veniva scritta, alla luce della luna una della pagine più oscure del renzismo: l’epurazione delle minoranze dem e dei giovani dalle liste del Partito, con il tacito assenso del Segretario dei Giovani Democratici Mattia Zunino.
In quella notte non venne concessa un’esaustiva lettura delle liste alle minoranze, le quali poi si astennero.
Ma la modalità è la stessa di ora, ovvero quella di arroccarsi, cercando di salvare i propri adepti, avendo in mente un disegno politico ben preciso e per lui già apoditticamente avviato al successo.
Arriviamo ai giorni nostri, dove cambiano gli addendi ma non i risultati, perché l’ego renziano è sempre una garanzia per chi piuttosto che discutere di politica, preferisce analizzare gli scontri in Senato con annessi cori da stadio dentro e fuori dall’emiciclo, orami ridotto come gli spalti dello stadio.
Sarebbe per me incoerente affermare che nel merito le ragioni renziane non siano giuste, anche perché il continuo crescendo di Conte è lapalissiano. Ma è altrettanto vero che in politica esistono tempi e modi per porre delle questioni, dovremmo ricordarle soprattutto durante una pandemia; ma sappiamo, anche, che Renzi non è Berlinguer.
È paradossale chiedere modifiche al Next Generation UE, ottenerle per poi aprire una crisi sul MES, bruciando 50 miliardi di euro utili alla ricostruzione e ai ristori, attraverso lo spread.
Ancora più mortificante è stato assistere ad una conferenza stampa senza contenuti, in cui senza inconsciamente Matteo Renzi ha svolto un sunto perfetto del suo Governo dei mille giorni, attaccando l’attuale Presidente del Consiglio, senza rendersi conto che l’immagine delle due ministre mute e sottomesse al capo, un’immagine degna di un patriarcato, era la perfetta rappresentazione granitica del suo ego smisurato.
Al Senato Renzi non ne esce sconfitto, piuttosto si ritira come Napoleone in Russia, dove aver perso qualche pezzo. Non sappiamo se questa sarà la “Mosca renziana” oppure il preludio di un capolavoro politico; lasciamo ai posteri l’onere di determinare il vincitore e il vinto. Altresì possiamo dedurre soltanto che da questa sostanziale crisi di Governo, emergono due nodi importanti uno politico e uno fattuale.
Il Governo ne esce indebolito, non avendo più la maggioranza nelle commissioni parlamentari, è costretto a sottostare al ricatto di Italia Viva e che le mutazioni trasformiste-resposabili della compagine di Governo, porteranno ad una instabilità politica retta solo dalla non voglia di andare al voto (mancano anche i correttivi).
Il nodo fattuale è che Conte ne esce rafforzato nella credibilità e che il PD, LeU e M5S fanno quadrato attorno al Presidente, mentre i benzinai ne escono indeboliti e senza incarichi di Governo, con un esodo annunciato.
Toccherà a Mattarella fare chiarezza e probabilmente ricucire lo strappo, attraverso l’esercizio della sua moral suasion, cercando però di frenare le smanie di protagonismo di tutti.
Francesco Miragliuolo