Il grande cantautore genovese era nato nel 1940. Scomparve nel 1999
La storia di oggi è una storia che si muove tra la città, l’amore per la strada e l’amore per la campagna. Una vita che si rincorre in tra quelle righe. Una storia dove delle dita incontrano una chitarra e dove le storie incontrano nuove parole. Uno sguardo sempre un po’ malinconico, intimità percepibile appena, se non attraverso i suoi testi. È la storia di Faber, Fabrizio Cristiano De Andrè che a Genova nasceva proprio oggi, il 18 febbraio 1940. L’appellativo Faber gli viene accollato dall’amico di sempre Paolo Villaggio, genovese anche lui. Il riferimento è alla sua predilezione per pastelli e matite della Faber-Castelli. Ironia del destino vuole che Faber sia anche sostantivo di origine latina stante a significare “artigiano, fabbro”. Un po’ quello che lui è stato. Un artigiano ed un fabbro. Tra un “Valzer per un amore” e l’artigianato da “Bombarolo”. Provare a parlare dei suoi testi, delle sue sonorità, non si finirebbe mai. C’è troppo da dire e raccontare. Ma scavando tra quelle radici c’è molto da imparare. Fabrizio nasce nella zona occidentale di Genova, Genova Pegli. La famiglia raggiungerà una situazione di agiatezza con l’acquisto da parte del padre di un Istituto Tecnico a Sampierdarena. Ma lui, dell’infanzia, come stesso scriverà ricorda “soprattutto la casa di campagna di mia nonna, una cascina […] lì ho assorbito tutto l’amore, che poi mi è rimasto, per la campagna, la natura, gli animali e la cultura contadina”. Ed ecco che così prendono vita i protagonisti di “Non al denaro, non all’amore né al cielo” (Tratto dall’antologia di Spoon River di Lee Masters). In un’intervista alla Pivano: “Avrò avuto diciott’anni quando ho letto Spoon River […] forse in quei personaggi trovavo qualcosa di me. Nel disco si parla di vizi e virtù: è chiaro che la virtù mi interessa di meno, perché non va migliorata. Invece il vizio lo si può migliorare: solo così un discorso può essere produttivo”. In quei suoi tredici album, in circa quarant’anni di attività artistica, De Andrè da bravo artigiano/cantastorie quale era tra le sue corde e tra i suoi testi parlerà di emarginati in “Via del campo”, prostitute “Bocca di rosa”, ribellione “Un blasfemo”, eroi e anti-eroi “Un giudice”, umanità a 360 gradi, amori proibiti e amori consumati. Sarà anarchico, pacifista. Sarà linguista per la sua attenzione al dialetto genovese, ma anche quello mediterraneo. Insomma sarà poeta. Anche se forse con quest’accezione non sarà d’accordo: “Lessi Croce, l’Estetica dove dice che tutti gli italiani fino a diciotto anni possono diventare poeti, dopo i diciotto chi continua a scrivere poesie o è un poeta vero o è un cretino. Io, poeta vero non lo ero. Cretino nemmeno. Ho scelto la via di mezzo: cantante”. Ma noi tutti, comuni, sappiamo che il buon vecchio Faber andava ben oltre. E perché no, ascoltarlo è un semplice invito a conoscere nuove vite in nuovi viaggi.
Vincenzo Perfetti