Rivelò l’interramento dei rifiuti tossici in Campania: la causa del decesso sarebbe un infarto
VITERBO – E’ morto nella sua abitazione, in provincia di Viterbo, l’ex boss dei casalesi Carmine Schiavone, a lungo collaboratore di giustizia. Sarebbe morto a causa di un infarto: da qualche anno era uscito dal programma di protezione per i pentiti. Fecero scalpore le sue dichiarazioni sul traffico e l’interramento dei rifiuti tossici nella Terra dei fuochi.
Schiavone aveva 72 anni, divenne collaboratore di giustizia nel 1993. Le sue deposizioni furono determinanti per il maxiblitz che portò a 136 arresti di affiliati al clan, operazione da cui derivò il processo ”Spartacus”. Anche qui le dichiarazioni di Schiavone furono al centro delle accuse. Al termine del processo furono condannati il cugino Francesco Schiavone detto Sandokan, Michele Zagaria e Francesco Bidognetti, ritenuti la cupola del clan. Con loro furono condannate altre 30 persone. Finito il programma di protezione, Schiavone si era trasferito con la moglie e i figli nella Tuscia, in una casa nei paraggi del lago di Vico.
“Il traffico e l’interramento dei rifiuti in provincia di Caserta era un affare da 600-700 milioni di lire al mese, che ha devastato terre nelle quali, visti i veleni sotterrati, si poteva immaginare che nel giro di vent’anni morissero tutti”. Sono alcune delle sue parole rese alla Commissione ecomafie, in una audizione i cui verbali furono desecretati soltanto nel 2013. “Gli abitanti di paesi come Casapesenna, Casal di Principe, Castel Volturno e così via, avranno, forse, venti anni di vita – disse – rifiuti radioattivi dovrebbero trovarsi in un terreno sul quale oggi ci sono le bufale e su cui non cresce più erba”. Fanghi nucleari, riferiva, arrivavano su camion provenienti dalla Germania. Nel business del traffico dei rifiuti, secondo il pentito, erano coinvolte mafia, ‘ndrangheta e Sacra Corona Unita.