La rielaborazione in chiave “partenopea” della celebre commedia di Plauto in questi giorni al teatro Delle Palme di Napoli

NAPOLI – «Sono venticinque anni che porto in giro per l’Italia i miei Menecmi, ispirati a Plauto. In tutto questo tempo è cambiata la mia età anagrafica e mi è diventato faticoso interpretare due parti. Ma il pubblico e i teatri continuano a richiedermelo, e oggi mi ritrovo a inventarmi le forze per essere di nuovo in scena con questo mostro composto di fatica e di follia creativa. Ce la farò ancora una volta?». E’ l’interrogativo che Tato Russo si è posto alla vigilia di portare in scena al Delle Palme “Menecmi-Due gemelli napoletani”. Visto lo spettacolo, rispondiamo con convinzione e ammirazione: si, e in maniera maiuscola.

La storia è nota. Un mercante di Siracusa smarrisce durante un viaggio uno dei suoi due figli gemelli, Menecmo. Questi, allevato da un ricco mercante di Epidamno, vive diviso tra la moglie e la meretrice Erozio. Si reca ad Epidamno anche l’altro gemello, chiamato anch’egli Menecmo, in memoria del fratello scomparso. Menecmo II viene scambiato da tutti per il fratello e crede di aver fatto colpo su Erozio, mentre Menecmo I è accusato di tradimento della moglie e di pazzia dal suocero. Il reciproco riconoscimento pone fine al delirio collettivo. Tato Russo ha ambientato la vicenda in una Napoli antica, con uno scenario di rovine (non è sfuggita l’allusione  alla contemporaneità sottintesa nella battuta: «Ma chi è ‘o magistris ‘e ‘sta città?») e ha costruito i due fratelli in maniera straordinaria, interpretandoli entrambi con estrema disinvoltura nelle loro diversità. Menecmi I è un avvocato dal linguaggio fine e forbito. Il gemello è un cafone arrivato a Neapolis da Capua con il suo schiavo alla ricerca della propria famiglia. Il suo eloquio è volgare e spesso scurrile. La contemporanea presenza in città dei due fratelli dà contenuto e corpo alla “commedia degli equivoci” che fa ridere e divertire per circa due ore. Plauto nel suo Menaechmi ha usato un linguaggio che alterna il “sermo familiaris” a quello “rusticus” e ha avuto la capacità di rendere grande la sua commedia soprattutto con quella “peculiarità” che per taluni, superficialmente, è stata definita scurrilità.

Analogamente, Tato Russo nella sua libera elaborazione ha rivelato ancora una volta il suo genio artistico rendendo raffinato quello che invece, d’impatto, potrebbe apparire volgare. Ma ha fatto anche di più perché con il suo trasformismo e l’interpretazione degli altri attori ha rappresentato momenti della quotidianità popolare napoletana in stile “scarpettiano” attraverso la perfetta realizzazione di un metateatro .  Al suo fianco Rino Di Martino (Messenione), Marina Lorenzi (Dorippide), Salvatore Esposito (Cilindro), Massimo Sorrentino (Spazzola), Renato De Rienzo (Mosco), Giorgia Guerra (Luciana), Clelia Rondinella (Erozia), Eva Sabelli (il Prologo), Olivia Cordsen (Fisicle), Ashai Lombardo Arop (Fosicle), Lorenzo Venturini (il medico). La regia è di Livio Galassi.

Mimmo Sica

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