Il testo del drammaturgo e regista svedese, tra le più eminenti personalità nella storia della cinematografia mondiale, è un crudo quanto realistico omaggio alla solitudine

NAPOLI – Applausi convinti a “Sinfonia d’autunno”, di Ingmar Bergman, che ha debuttato al Mercadante con la regia di Gabriele Lavia. Il testo del drammaturgo e regista svedese, tra le più eminenti personalità nella storia della cinematografia mondiale, è un crudo quanto realistico omaggio alla solitudine modulato sulle note di una “sinfonia d’autunno”, che è metafora di un momento di profondo nichilismo “sociale”, grigio come il colore di quella stagione.  In un luogo reso irriconoscibile dal regista (in realtà è una canonica come sa chi conosce il film del 1978), scelta felice per liberare la vicenda da ogni vincolo spazio-temporale, si sviluppa la storia di una madre e due figlie che invano il marito della maggiore di esse cerca di riconciliare. La madre, Charlotte (Anna Maria Guarnieri), grande concertista, ha sempre privilegiato il suo amore per la musica  al marito e alle figlie.  La figlia maggiore Eva (Valeria Milillo) e suo marito Viktor (Danilo Nigrelli) hanno perso tragicamente il loro unico figlio di quattro anni caduto in un pozzo. Helena (Silvia Salvatori), la figlia più piccola, è affetta da una grave malattia che la costringe su una sedia a rotelle. Non può parlare e si esprime con urla e suoni gutturali. Dalla clinica dove era rinchiusa, Eva e Viktor l’hanno portata a vivere con loro. Charlotte, spinta da una malattia alla schiena che  le impedisce di suonare come un tempo e anche da un vago senso senso di colpa nei confronti delle figlie abbandonate, dopo sette anni di  silenzio torna da Eva. In 36 ore, tanto dura il soggiorno di Charlotte in famiglia, si consuma il tentativo di superare contrasti, egoismi, rancori, e di comprendere e perdonare. L’altalenante andamento degli eventi, accompagnato dai tuoni di un violento temporale e dalle urla che si alternano ai gemiti di Helena, ha un picco di forte impatto visivo ed emozionale quando la fanciulla si trascina, rotolandosi per terra e, scivolando a fatica sulle scale, dal piano superiore arriva nella stanza di sotto e implora, nel suo innaturale e surreale linguaggio, la madre di suonare per lei il pianoforte. Charlotte si siede allora sullo sgabello e tenta di suonare. Sarebbe una finzione scenica perché lo stumento fisicamente non c’è, ma se ne guarda bene dal farlo perché non  c’è il proscenio dal quale “dipende”.   Il pianoforte allora si rivela il quinto personaggio, simbolicamente il più importante. Rappresenta, infatti, il totem al quale la donna, venerandolo al di sopra di ogni cosa, ha immolato tutti i suoi sentimenti. Cessato il temporale Charlotte va via e il sipario cala sulla scena iniziale: Viktor che siede nella cameretta del figlioletto morto mentre su un grande televisore scorrono le immagini del bambino poco più che neonato. Eva che scrive alla madre una lettera. Nella stanza al piano di sopra Helena geme. Profonda e significativa la frase con cui Viktor “saluta” il pubblico: «Il fenomeno inspiegabile della vita è la vita stessa». Ancora un sottile “colpo di genio” di Gabriele Lavia che dà, a chi vuole, lo spunto per riflettere su quanto profonda sia l’influenza del pensiero di Soren Kierkegaard, il padre dell’esistenzialismo, sulla produzione di Bergman. Siamo convinti che l’esasperato individualismo di Charlotte sia espressione del “solipsismo” del filosofo danese, dettato dell’esigenza di trovare, nell’esistenza individuale, l’unico valore possibile. Bergman crede nell’assenza del “fondamento”, cioè di quel principio creatore che stabilisce i valori universali. Sull’insegnamento del filosofo, risponde all'”et et” hegeliano che, attraverso la ragione e l’idea arriva alla sintetizzazione degli opposti, il suo “aut aut”, cioè il libero arbitrio che consente la soggettività della realtà. Charlotte, il suo essere, la sua vita,  sono per lui l’esplicitazione di questo principio che alla fine porta alla “solitudine assoluta” nella quale lui crede. Maiuscola l’interpretazione di Anna Maria Guarneri. Ha dominato la scena con in dosso un anonimo camicione grigio e con quel suo incedere “ondeggiante” quasi a scandire i momenti nei quali fa la scelta che automaticamente esclude tutte le altre. Si è vestita di rosso solo per un breve simbolico ritorno al jet set che, però, non è più parte della sua sistenza.  Molto bravi anche gli altri protagonisti. Le scene sono di Alessandro Camera. I costumi di Claudia Calvaresi. Le musiche originali di Giordano Corapi. Le luci di Simone De Angelis. Assistenti alla regia sono Giacomo Bisordi e Cecilia Di Giuli. Assistente alle scene è Paola Castrignanò. Lo spettacolo  coprodotto dal Teatro Stabile dell’Umbria e dalla Fondazione Brunello .

Mimmo Sica

 

28/01/1
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