La Grecia li rivuole indietro in quanto parte integrante di un monumento che è patrimonio dell’Unesco, il British Museum non sente ragioni, il governo inglese tace

Quella dei fregi del Partenone è una storia antica: il fuoco di questa controversia con il British Museum (e quindi con l’Inghilterra) venne riacceso durante le Olimpiadi del 2004, sebbene non si sia mai spento del tutto. Sulla questione sono stati spesi fiumi di parole, sono stati scritti libri, sono nati comitati, siti internet e chi più ne ha più ne metta. Di recente, la causa greca è stata avallata dalla compagna di George Clooney, l’avvocatessa anglo-libanese Amal Alamuddin-Clooney, che ha definito quella della Grecia “una giusta pretesa”. “Il British Museum di Londra – ha aggiunto l’avvocatessa – deve riconoscere le ragioni della Grecia. Per ora, prima di fare ulteriori passi, siamo in attesa di una risposta riguardo la richiesta di intermediazione che abbiamo presentato all’Unesco”.

I PEZZI “CONTESI”. Qual è esattamente la materia del contendere? Si tratta di 15 metope, 56 bassorilievi di marmo e 12 statue, quasi l’intero frontone ovest del Partenone ove era rappresentata la processione panatenaica, oltre ad una delle sei Cariatidi del tempietto dell’Eretteo. Il Partenone, eretto tra il 447 ed il 432 a.C per volere di Pericle il grande, dopo numerose “trasformazioni” dovute alle diverse occupazioni, subisce il danno più grave nel 1687, quando il generale veneziano Francesco Morosini bombarda l’Acropoli sapendo che i turchi la utilizzano come deposito di polvere da sparo; una tremenda esplosione distrugge una rilevante parte del monumento.

LA STORIA DEI MARMI ASPORTATI. Nel 1804 Lord Elgin, ambasciatore britannico presso l’impero Ottomano, asporta quanto sopra descritto. Secondo la versione accettata anche da Jan Jenkins, responsabile del dipartimento antichità greche e romane del British Museum, Lord Elgin chiese il permesso alle autorità ottomane di prelevare dall’Acropoli pietre con delle epigrafi, come è ancora scritto oggi nel firmano che gli è stato dato. Tuttavia, pensò di poter andare oltre e mandò una squadra di operai che con seghe e scalpelli tagliarono le sculture una per una, lasciandole anche cadere dall’alto e danneggiando ulteriormente il monumento. In seguito, i marmi affrontarono un avventuroso viaggio in nave (in cui rischiarono di finire per sempre in fondo al mare) fino in Scozia, dove adornarono il giardino della villa di Lord Elgin.

VERSIONI CONTRASTANTI. Secondo un’altra versione, invece, i marmi non raggiunsero mai la dimora del Lord in quanto lo stesso era stato imprigionato in Francia. Certo è che ad un certo punto Lord Elgin attraversò gravi difficoltà economiche e, pertanto, fu costretto a vendere i suoi beni; i marmi furono regolarmente acquistati dal governo britannico per 35.000 sterline e affidati in custodia al British Museum, dove furono esposti per la prima volta nel 1817. In merito al fatto che Lord Elgin avesse o meno titolo ad asportare quanto descritto, ci sono diversi documenti a sostegno dell’una o dell’altra tesi; i primi furono presentati dallo stesso Lord Elgin al governo inglese per dimostrare che aveva avuto l’autorizzazione dalle autorità ottomane per procedere all’asportazione, di questi documenti la Grecia ha sempre contestato la legittimità; mentre sul fronte opposto si registra che, nel novembre 2002, la casa d’aste Dominic Winter ha messo in vendita una lettera del 1811 in cui l’ambasciatore britannico a Istanbul, Robert Adair, scrisse a Lord Elgin: “le Porte (la corte del Sultano) nega che lei sia il proprietario di questi marmi”. Secondo la Corte del Sultano, i funzionari turchi di Atene non avevano il diritto di vendere i pezzi del Partenone, tale autorità era riconosciuta infatti solo al Sultano stesso ed alla sua corte. Quanto scritto su questa lettera, induce a riflettere su un’altra versione, secondo la quale Lord Elgin corruppe i funzionari ottomani ad Atene, con regali di valore, affinché autorizzassero la rimozione dei marmi benché non ne avessero il titolo; chi sostiene questa versione cita anche diverse testimonianze della avvenuta corruzione. Secondo un’altra versione, il “saccheggio” del Partenone iniziò nel 1801, autorizzato dal sultano Selim III che aveva accettato l’aiuto degli inglesi per liberare l’Egitto da Napoleone. Il primo imbarco pare fu effettuato il 26 dicembre 1801 sulla nave Mentor e solo l’esplodere dei moti autonomisti greci pose fine al “saccheggio”; questa versione include anche il “saccheggio” di Lord Elgin.

LA POSIZIONE DEL GOVERNO INGLESE. Il governo Blair all’epoca ha sempre sostenuto che entrambe le parti hanno le loro ragioni, ma non è mai stato propenso alla restituzione dei marmi. Nel marzo del 1998, il Ministero per la Cultura Inglese, rispondendo ad una mail di un sito che si occupa della restituzione dei marmi, ha riconosciuto l’importanza della cultura ellenica per tutti gli europei di oggi (noi diremmo per tutta la civiltà occidentale di oggi), ma ha concluso che le sculture debbano rimanere al British Museum. Ciò è giustificato dal fatto che le sculture furono legalmente acquisite ed affidate al museo londinese il quale, inoltre, non può alienare oggetti dalle collezioni del museo per divieto espresso dal suo statuto. L’ex Primo Ministro conclude scrivendo: “il governo ha tenuto conto di tutti questi elementi ma ha comunque deciso per la non restituzione delle sculture, data la potestà legale del British Museum su di essi e le amplissime conseguenze che comporterebbe la restituzione di oggetti legalmente acquisiti.” Quest’ultima parte allude a prevedibili richieste di restituzione, da parte di altri Paesi, dei beni artistici acquisiti dai vari musei di tutto il mondo a seguito di guerre, conquiste o in altri modi. Prima delle Olimpiadi di Atene 2004, si parlò di trattative tra i due governi per un prestito in occasione, appunto, delle olimpiadi e il Sunday Times scrisse di incontri tra i dirigenti dei due musei (il British e il nuovo museo dell’Acropoli) con l’interessamento dell’UNESCO favorevole alle trattative; ma il tutto svanì nel nulla, sembra per il timore del British che il “prestito” diventasse a scadenza indeterminata. L’attuale governo inglese non ha mai preso posizione, fin’ora, sull’argomento.

IL GOVERNO GRECO. La posizione del governo greco chiarisce che la richiesta di restituzione dei marmi non è di carattere nazionalistico; difatti la Grecia non richiede la restituzione di tutti i suoi beni artistici sparsi per il mondo che, anzi, ritiene un importante veicolo di diffusione culturale e pubblicitaria, ma esclusivamente dei fregi del Partenone in quanto parte integrante (nel vero senso della parola, in quanto per la maggior parte realizzati direttamente sull’edificio) di un monumento nazionale che è stato mutilato e di cui si chiede la restaurazione. In questo senso, come detto, i marmi non possono essere considerati una scultura mobile come statue o anfore, ma parti inseparabili del più importante monumento del periodo classico, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Prima delle Olimpiadi di Atene 2004, il governo greco non pose la questione mettendo al centro della discussione il modo in cui furono rimossi i marmi; sebbene continui a ritenere che non sussistano gli estremi di legittimità della proprietà che l’Inghilterra ritiene di avere, la Grecia mise invece l’accento sul fatto che, durante le Olimpiadi, l’attenzione mondiale sarebbe stata puntata su Atene e la restituzione dei marmi, posta in un’ottica politica e storica particolarmente sensibile come quella attuale, sarebbe stata un beneficio anche per l’Inghilterra; a ciò aggiunse che era in costruzione il nuovo museo dell’Acropoli, con una sezione speciale appositamente creata per dare una visione d’insieme e che, all’inaugurazione di esso, l’assenza dei marmi sarebbe stata marcatamente evidente. L’allora Ministro greco per la Cultura, indicò anche una forma di prestito a lunga scadenza, proposto anche come forma di collaborazione tra i due musei e che aveva, come contropartita, la possibilità di portare al British Museum nuove antichità da esporre temporaneamente. La Grecia, inoltre, sensibilizzò l’Inghilterra su quanto detto, facendo leva anche sulla sua sensibilità culturale e sulla fede del popolo britannico nei grandi valori umanistici dell’antichità. Ma tutto ciò non servì a riportare i marmi ad Atene, neanche per un giorno.

IL BRITISH MUSEUM. La posizione del British Musuem si basa fondamentalmente sul suo statuto, il quale gli impedisce di restituire un’opera d’arte della sua collezione. Robert Anderson, ex direttore del museo, in un’intervista al “The Times” rilasciata durante il suo mandato, prima nega che i marmi possano essere restituiti alla Grecia perché “il museo non ha il potere di alienare nessuno dei suoi tesori. Gli amministratori, anche se lo volessero, non possono decidere delle proprietà del museo. Lo vieta la legge”, poi aggiunge che non era neanche nei loro poteri darli in prestito per le Olimpiadi 2004 in quanto “vi è un limite ai poteri degli amministratori quando non c’è la garanzia che l’oggetto sia restituito” evidenziando palesi dubbi sulla buona fede dei greci e, infine, afferma che “la richiesta di prestito da parte del governo greco non è mai stata indirizzata al direttore del museo, il tutto è avvenuto a mezzo stampa, per cui non vi è stato neppure un nostro ufficiale diniego”. Nell’agosto del 2003 il nuovo direttore del British Museum ha inviato una lettera al ministro della cultura greco in cui chiarisce che i resti del Partenone “rappresentano un’istituzione mondiale e universale e per questo motivo il British Museum è il posto migliore per loro”; contemporaneamente, i vertici del museo londinese emettevano un comunicato in cui ribadivano che non riuscivano “ad immaginare nessuna circostanza in virtù della quale cedere alle sollecitazioni del governo greco”. Il British Museum, inoltre, ritiene che Lord Elgin, asportando i marmi, li abbia salvati dall’incuranza dei greci, dai cercatori di souvenir e dagli atti vandalici, aggiungendo che la stessa Grecia ha dovuto rimuovere alcune sculture dal tempio per proteggerle dal deterioramento. Sempre nell’agosto del 2003, il “Sunday Times” pubblicava che vi erano degli accordi in fase di definizione per una custodia congiunta dei marmi, sotto l’egida dell’Unione Europea, secondo cui l’Inghilterra avrebbe conservato la proprietà formale dei marmi, mentre la Grecia avrebbe avuto il compito di custodirli in un apposito museo ai piedi dell’Acropoli, sezione distaccata del British Museum. Ma la smentita arrivò secca sul quotidiano “The Guardian”, dove gli amministratori del museo londinese sostennero che non vi erano stati né colloqui segreti, né prestiti a lungo termine; e alle pressioni del governo greco, il nuovo direttore del British Neil McGregor rispose: “la migliore collocazione per i marmi è il British Museum, una delle poche istituzioni universali al mondo.” Mentre, alle successive pressioni del governo greco per una cessione temporanea in occasione delle Olimpiadi 2004, Hannah Bolton, portavoce del museo, dichiarò che anche se il museo normalmente concedeva prestiti all’estero, i pezzi centrali della collezione non ricevevano quasi mai il permesso di lasciare Londra e che se vi erano stati colloqui in tal senso, riguardavano il prestito di altre opere d’arte con cui allestire mostre in occasione delle Olimpiadi.

(Tratto da miti3000.it – Testo e foto a cura di Giorgio Manusakis)

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