Operaio muore schiacciato in Irpinia

 

Un altro morto sul lavoro in Campania. Un operaio è morto mentre stava scaricando pannelli di cemento a Torre le Nocelle, in provincia di Avellino. La vittima si chiamava Francesco Trasi, 31enne di Solofra.
Secondo una prima ricostruzione effettuata dai carabinieri del comando provinciale di Avellino l’operaio stava manovrando una gru utilizzando un telecomando per scaricare i pannelli in cemento. All’improvviso uno dei pannelli si è staccato e Francesco Trasi è rimasto schiacciato. Inutili i soccorsi,  I medici del 118, chiamati dai compagni di lavoro della vittima, non hanno potuto che constatarne il decesso. Sul posto, insieme ai carabinieri, si è recato il procuratore di Avellino, Rosario Cantelmo.

Un’altra vita spezzata sul posto di lavoro. Un’altra famiglia privata dell’unico reddito con cui vivere. Una strage. Un massacro. Gli infortuni si verificano per la scarsa prevenzione, l’insensibilità dei datori di lavoro parti integrante di un sistema di produzione e lavorativo che trasforma le persone in merce in nome del profitto.

E aumentano le malattie. Le principali malattie rilevate sui luoghi di lavoro riguardano patologie osteo-articolari e muscolo tendinee, e affezioni dei dischi vertebrali. Molti, anche i casi di malattie respiratorie mentre continua a essere preoccupante il dato relativo ai tumori.

L’articolo 9 della legge 300 del 1970 (lo statuto dei lavoratori) prevede che i lavoratori mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme di prevenzione delle malattie professionali e di promuovere l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica. I controlli sulla salute dei lavoratori devono essere effettuati dalle strutture pubbliche come i centri di medicina del lavoro, strutture pubbliche più affidabili e ‘poco condizionabili’.

Recependo tale normativa le Regioni italiane dovevano rafforzare i “servizi di medicina del lavoro” sui territori, legati ai posti di lavoro. Tali servizi dovevano privilegiare la prevenzione primaria ossia l’intervento diretto dei lavoratori nella gestione della salute, far uscire gli operatori sanitari e sociali dall’arroccamento nelle cliniche del lavoro e negli ospedali per renderli capaci di agire sul territorio e in fabbrica, definire le cosiddette mappe di rischio. Tutto è rimasto sulla carta.

I piani di sorveglianza sanitaria sono diventati dei ‘mattoni di carta’ chiusi nei cassetti degli uffici delle aziende. Documenti che vengono puntualmente ‘vidimati’ e ‘legittimati’ dagli organismi di vigilanza dello Stato(le Asl) ma non diventano parte integrante del sistema di produzione o di organizzazione del lavoro. Le aziende non investono nella sicurezza e nella formazione. Sotto accusa soprattutto l’organizzazione del lavoro.

Eppure, i datori di lavoro che acquisiscono commesse e appalti pubblici ottengono il riconoscimento delle ‘spese per la sicurezza’ quando incassano le fatture degli stati di avanzamento dei lavori (Sal). Le risorse pubbliche vengono incassate ma non investite per garantire la sicurezza. E i direttori dei lavori nominati dagli enti appaltanti pubblici continuano a non svolgere efficacemente il ruolo di vigilanza e di controllo.

Non bastano le leggi vigenti, lo statuto dei lavoratori o i decreti attuativi del testo unico per la sicurezza. Finché il medico competente aziendale, i piani di sorveglianza sanitaria o di valutazione del rischio sono nelle mani delle imprese, per i lavoratori c’è poco da fare.

Invece, rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza(Rls) dovrebbero assumere un ruolo di primo piano nell’ambito dell’organizzazione del lavoro. Non può essere l’azienda a “valutare” se le sue stesse misure antinfortunistiche sono insufficienti.

                                                                                                           Ciro Crescentini

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