Lavoratori e Tfr, quando un diritto diventa una corsa ad ostacoli

Al termine del rapporto di lavoro il dipendente ha diritto a ricevere in tempi teoricamente brevi la cosiddetta liquidazione. Ma i tempi il più delle volte si allungano al punto che dopo mesi di attesa e di estenuanti richieste, si è costretti a procedere in via giudiziaria

Al termine del rapporto di lavoro il dipendente ha diritto a ricevere in tempi teoricamente brevi, la cosiddetta liquidazione o trattamento di fine rapporto. Questi tempi il più delle volte si allungano al punto che dopo mesi di attesa e di estenuanti richieste, stante l’inerzia del datore di lavoro spesso il dipendente si vede costretto a procedere in via giudiziaria per il recupero del Tfr maturato. Da qualche tempo anche il decreto ingiuntivo diventa una chimera perché quando il giudice lo concede, il più delle volte non è provvisoriamente esecutivo, per cui il lavoratore/creditore deve intraprendere un giudizio di accertamento con i tempi ordinari di trattazione di qualsiasi causa. Regolarmente l’azienda dopo la notifica del decreto ingiuntivo propone opposizione per bloccare la richiesta di pagamento e, quindi, solo a scopo dilatorio. Ma la cosa si complica notevolmente se l’azienda è insolvente, in quanto dopo le numerose riforme del sistema previdenziale, per il lavoratore che perde il posto di lavoro recuperare il Tfr diventa una vera e propria corsa ad ostacoli.

 

 

Se il lavoratore dopo il 2007 (con termini capestro e poco trasparenti) ha optato per il sistema previdenziale integrativo ovvero ha chiesto al datore di lavoro di accantonare le sue quote di Tfr presso i fondi previdenziali previsti dalla contrattazione collettiva di riferimento, il recupero del Tfr diventa un’impresa impossibile in quanto se l’azienda insolvente fallisce, il tribunale fallimentare difficilmente ammette al passivo del fallimento le quote di Tfr versate al fondo complementare. Il provvedimento di diniego da parte del tribunale, del tutto contestabile, si fonda sul presupposto che il lavoratore deve rivolgersi direttamente al fondo di previdenza complementare e non al fallimento. Ma se l’azienda ha trattenuto le quote e non le ha versate? L’Inps poi interviene con il fondo di garanzia istituito dalla legge 297 – nella specifica ipotesi di fallimento – solo nel caso in cui il lavoratore venga ammesso al passivo fallimentare ma spesso accade che l’Istituto neghi il diritto quando le quote di Tfr non risultino versate dal datore di lavoro. E allora il lavoratore dovrà intraprendere un’azione giudiziaria nei confronti dell’Inps. Insomma anche quello che un tempo era una certezza ossia il pagamento del Tfr alla cessazione del rapporto di lavoro, oggi viene esposto a seri rischi di recupero. L’ennesimo diritto negato ed il datore di lavoro inadempiente riceve il premio dalla stessa dichiarazione di fallimento che costituisce per lui un vero affare.

Giuliana Quattromini

(Avvocato del lavoro)

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