
Il dato relativo al 2018 dei giudici di pace, fornito dal presidente facente funzioni Dario Raffone, appena subentrato a Ettore Ferrara: “Vicenda Capuano, ingenerosi i giudizi del gip di Roma sul nostro ufficio giudiziario”
I nodi della giustizia a Napoli, come ad esempio il debito di 4 milioni di euro, accumulato l’anno scorso dal giudice di pace sul contributo unificato. Ma anche il ruolo della magistratura nella società in cambiamento. Con un discorso a tutto tondo, il neo presidente facente funzioni del tribunale di Napoli, Dario Raffone, si presenta alla stampa, dopo il pensionamento volontario del predecessore Ettore Ferrara. Dalle sue parole emerge anche l’amarezza per certi passaggi dell’ordinanza del gip di Roma, Costantino De Robbio, con cui si ordina l’arresto del collega napoletano Alberto Capuano e di altri quattro indagati, tutti accusati di corruzione. Una vicenda esplosa all’arrivo di Raffone, già presidente del tribunale delle imprese di Napoli, sul cui merito investigativo lui non vuole né può entrare. Ma della quale non condivide l’immagine di un tribunale di Napoli “fragilissimo”, e permeabile alle tentazioni corruttive. Pure perché “quella misura cautelare è tra corruzione e millanteria”, e allora avrebbe auspicato maggiore prudenza, invece di giudizi “forse troppo ingenerosi”. Al di là dello sfogo, Raffone è il primo a invocare una giustizia senza sconti, per i magistrati colpevoli di reati o illeciti disciplinari. E chiede “si faccia luce” sul caso – riportato nell’ordinanza del gip di Roma – di una vincitrice del concorso per uditore giudiziario, figlia di un indagato, sulle cui prove concorsuali gli inquirenti gettano ombre. La riflessione però si allarga al lavoro dei giudici al giorno d’oggi. Alla “desertificazione dei corpi intermedi”, dai partiti ai sindacati, e al «disagio complessivo per l’idea autocentrata dell’individuo, fatta di diritti e non più doveri». Risultato: i magistrati sono molto più soli, nell’affrontare i bisogni delle persone. Forse una sovraesposizione, cui non sempre si dimostrano pronti. Ma la disaffezione dei cittadini “è anche colpa di vicende come quelle di Palamara e Capuano”, sebbene si tratti di fatti “scoperti da altri magistrati”. I rimedi suggeriti? “Recidere il cordone che lega Csm e Anm”. E inoltre, “chi vuole mettersi in politica se ne vada dalla magistratura. Non è possibile che si diventi politici per poi tornare a fare i magistrati e si venga anche promossi, questo fa male ai cittadini”. Quanto alle correnti, “devono rifondarsi completamente, credo si debbano riformare e non eliminare con un tratto di penna”.
Idee squadernate pensando all’organizzazione del tribunale di Napoli, uno degli uffici giudiziari più complessi d’Italia. “Il civile sta macinando bene – spiega Raffone-: vengono iscritte ogni anno circa 100.000 nuove cause e le definizioni sono costantemente definite in numero lievemente maggiore”. I procedimenti ultradecennali sono il 2%, gli ultratriennali non superano il 20%. Negli ultimi due anni il carico è calato da 34.000 a 24.000. Invece “il tribunale penale ha una sofferenza sistemica – dice il presidente-: ogni anno accumula una pendenza maggiore”. In questo settore “i procedimenti sono una enormità e – denuncia – la fatica a cui sono sottoposti i giudici è ravvisabile guardando i loro volti dopo quotidiani tour de force, connotati spesso dall’impossibilità di definire i giudizi per un’infinita serie di difficoltà oggettive”. L’affanno paga “le specificità della criminalità organizzata con processi con centinaia di imputati ed alcune norme di legge da cambiare, come quella che impone di ricominciare tutto da capo ogni qualvolta vi sia un mutamento nella composizione del collegio giudicante”. Disfunzioni da correggere, per le quali Raffone si appella al ministro della giustizia.
Gianmaria Roberti