Cardarelli, viaggio in trincea tra aggressioni, tagli e show: “I blitz di De Luca? Avvertiti prima”

Mini reportage nel pronto soccorso del più grande ospedale del Mezzogiorno: la rabbia dei parenti dei degenti, la carenza di organico e il sangue freddo del personale. Nonostante tutto

Ritrovarsi catapultati all’improvviso nel pronto soccorso dell’ospedale Cardarelli”. Nell’immediato, sembra di essere capitati nella scena di uno di quei film così detti “post apocalittici”. Barelle ovunque, dolore palpabile nell’aria, un sovraffollamento umano fuori da qualsivoglia immaginazione che non sia quella cinematografica o di una serie tv. Poi, invece, ti rendi conto che tuo malgrado sei nella realtà, quella dell’infinita emergenza della sanità campana.

I pazienti all’arrivo, vengono classificati secondo tre codici colore (triage, che deriva dal verbo francese “trier” , scegliere): Il codice, viene assegnato o dal 118 che trasporta il paziente, o dal personale infermieristico esperto e specificatamente formato che, valutando i segni ed i sintomi del paziente, identifica le condizioni potenzialmente pericolose per la vita ed attribuisce un codice di gravità al fine di stabilire le priorità di accesso alla visita medica: codice rosso: molto critico, pericolo di vita, priorità massima, accesso immediato alle cure; codice giallo: mediamente critico, presenza di rischio evolutivo, possibile pericolo di vita; codice verde: poco critico, assenza di rischi evolutivi, prestazioni differibili; codice bianco: non critico, pazienti non urgenti.

Osservo un display che aggiorna in tempo reale la numerica dei codici in questo momento trattati: nessun codice rosso, una decina di codici gialli, tanti codici verdi e bianchi. Questi freddi numeri, mi spingono a giustificare l’abnorme stazionamento di barelle posizionate fuori dagli ambulatori. Barelle con al fianco familiari, amici, parenti, una variegata umanità nei cui occhi leggi paura, ansia ma anche tanta, tantissima rassegnazione.

Immediatamente, ti tornano in mente le parole dell’attuale Governatore della Regione Campania: “Mai più barelle al Cardarelli!”. Le barelle invece ci sono, e sono tante (troppe, forse, tenuto conto dello spazio disponibile).

 

 

 

Ne parlo con una dottoressa che gestisce l’emergenza che mi riguarda: “Ma lei è uno che davvero crede agli show mediatici di De Luca? Ogni volta che è venuto qua, noi tutti eravamo stati preavvertiti”.

La chiameremo Lucia, questa giovane dottoressa: 44 anni, specializzata in Medicina d’Urgenza, lavora su turni prestabiliti dal contratto che regola le sue prestazioni: mattina, pomeriggio, notte, “smonto” e “riposo”. Ovvero, tre giorni di lavoro effettivo su cinque: “Ma spesso, sono costretta a saltare il giorno di riposo. In questo reparto, siamo a corto di personale”.

Parla poco Lucia, ma solo perché non ha tempo da perdere con me. Gira e rigira fra le barelle dell’accettazione per verificare l’effettiva veridicità del “triage” assegnato ai pazienti che sostano nell’accettazione del pronto soccorso.

Sorprende la professionalità di tutto il personale impegnato in questa struttura. Sembrano automi, esseri senza emozioni che trattano il dolore altrui con una spocchiosa indifferenza. Ma poi, se li osservi con maggiore attenzione, scopri che al di là della loro un’apparente freddezza, curano i pazienti dedicandosi a loro con uno spirito di abnegazione mascherato da una sorta di apparente distacco e da tanta diffidenza.

“Ma tu sai quante volte sono stato oggetto di aggressioni da parte di parenti convinti che me ne fottessi del loro congiunto?” Chi mi parla è Ciro, giovane infermiere professionale che svolge il suo lavoro con stupefacente efficienza (me ne convinco da come gestisce i rifiuti pericolosi, rigorosamente secondo le nuove norme che regolano la materia).

 

 

Ci spostano al reparto di Prima Osservazione, adiacente alla bolgia del Pronto soccorso. Qui è tutto più ovattato, silenzioso e l’efficienza del personale che vi opera, è ancora più evidente. I pazienti sono separati secondo il “triage” e trattati con immediata sollecitudine. In ogni caso, anche qui, pochi letti ma tante barelle.

“Con la chiusura dei vari presidi di Pronto Soccorso un tempo presenti in città, solo noi ed il Loreto Mare siamo in grado d’impattarci con la emergenze che, per altro, non sempre sono tali. E quando il Loreto Mare è saturo, tutti i pazienti che passano attraverso il 118, vengono dirottati qua”, mi dice Antonella, 43 anni, una specializzazione in Rianimazione e precaria da sempre.

“I tagli della precedente amministrazione, ci hanno letteralmente ridotto in ginocchio. Mancano medici, paramedici e posti letto. Io abito a Ponticelli, e ogni volta che passo davanti all’Ospedale del Mare, mi chiedo se lo abbiano costruito solo per girarci le fiction. Basterebbe rendere operativa quella struttura per cominciare a desaturare i presidi di emergenza cittadini. Ma chissà perché non lo fanno. Di certo, non credo che la ragioni siano solo la mancanza di fondi o di risorse umane. Gira che ti rigira, sulle emergenze, ci sono tanti che si sono costruiti e continuano a costruirsi un potere vero. Quello in grado di gestire soldi, voti, prebende e clientele”.

 

 

Siamo usciti fuori dal pronto soccorso, io e Antonella, entrambi stanchi ed in debito di nicotina. Ma mentre parliamo, cercando di trovare sollievo in una sigaretta e dal fresco vento che arriva dal mare, una macchina giunge a tutta velocità davanti all’ingresso del Pronto Soccorso.

Antonella getta via la sigaretta e corre verso l’auto dalla quale scende una donna che chiede disperatamente aiuto: urla che sua figlia, un’adolescente, ha ingerito un’intera boccetta di Xanax.

Chiedo a chi guida l’auto, presumibilmente il padre, da dove arrivano: “Da Ponticelli, ma la guardia medica che abbiamo chiamato, ci ha detto di venire qui perché al Loreto Mare non c’era più posto”.

Francesco Bassini

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