Mafia Capitale, pene ridotte in appello: ma ora c’è l’associazione mafiosa

Condanne più lievi per Massimo Carminati, che da 20 anni passa a 14 anni e sei mesi e Salvatore Buzzi, da 19 a 18 anni e 4 mesi. A differenza della prima sentenza però i giudici riconoscono che il sodalizio criminale era di stampo mafioso e utilizzava il metodo mafioso

Processo d’appello mafia capitale: pene ridotte per Massimo Carminati, condannato a 14 anni e sei mesi (20 in primo grado) e Salvatore Buzzi, a cui i giudici affibbiano 18 anni e 4 mesi (19 in primo grado). Ma stavolta, la corte riconosce che l’associazione criminale era di stampo mafioso e utilizzava il metodo mafioso. A luglio del 2017 i giudici di primo grado avevano escluso il reato di mafia per tutti gli imputati, ritenendo invece fondata la corruzione e l’esistenza di due gruppi criminali. La sentenza bis, se venisse confermata dalla Cassazione, diverrebbe storica. Si sancirebbe il precedente di una mafia autoctona, non composta da associati provenienti dalle regioni a tradizionale radicamento mafioso. Una mafia dove non c’è l’ombra di campani, siciliani o calabresi. Ma in compenso, ci sono tanti politici e colletti bianchi. Una mafia che non spara ma corrompe, secondo la linea evolutiva della malavita organizzata, che sta cambiando pelle.

I giudici riconoscono l’associazione a delinquere di stampo mafioso, l’aggravante mafiosa o il concorso esterno, a vario titolo, anche per Claudio Bolla (4 anni e 5 mesi), Riccardo Brugia (11 anni e 4 mesi), Emanuela Bugitti (3 anni e 8 mesi), Claudio Caldarelli (9 anni e 4 mesi), Matteo Calvio (10 anni e 4 mesi). Condannati anche Paolo Di Ninno (6 anni e 3 mesi), Agostino Gaglianone (4 anni e 10 mesi), Alessandra Garrone (6 anni e 6 mesi), Luca Gramazio (8 anni e 8 mesi), Carlo Maria Guaranì (4 anni e 10 mesi), Giovanni Lacopo (5 annu e 4 masi), Roberto Lacopo (8 anni), Michele Nacamulli (3 anni e 11 mesi), Franco Panzironi (8 anni e 4 mesi), Carlo Pucci (7 anni e 8 mesi) e Fabrizio Franco Testa (9 anni e 4 mesi).

“Abbiamo sempre detto che le sentenze vanno rispettate – commenta – il procuratore aggiunto Giuseppe Cascini – : lo abbiamo fatto in primo grado e lo faremo anche adesso. La corte d’appello ha deciso che l’associazione criminale che avevamo portato in giudizio era di stampo mafioso e utilizzava il metodo mafioso. Era una questione di diritto che evidentemente i giudici hanno ritenuto fondata”. In aula erano presenti anche il pm Luca Tescaroli e i procuratori generali Antonio Sensale e Pietro Catalani.

 

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