
La sentenza è stata depositata oggi, un duro colpo per il jobs act
“È incostituzionale il criterio di determinazione dell’indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato ancorato solo all’anzianità di servizio previsto dal decreto legislativo n. 23/2015 e confermato dal cosiddetto “decreto dignità” del 2018″. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale nella decisione dello scorso 26 settembre, la cui sentenza e’ stata depositata oggi.
“Il meccanismo di quantificazione – un “importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio” – rende infatti l’indennità “rigida” e “uniforme”per tutti i lavoratori con la stessa anzianità, cosi’ da farle assumere i connotati di una liquidazione “forfetizzata e standardizzata” del danno derivante al lavoratore dall’ingiustificata estromissione dal posto di lavoro a tempo indeterminato. Pertanto, il giudice, nell’esercitare la propria discrezionalità nel rispetto dei limiti, minimo (4, ora 6 mensilità) e massimo (24, ora 36 mensilità), dell’intervallo in cui va quantificata l’indennità , dovrà tener conto non solo dell’ anzianità di servizio – criterio che ispira il disegno riformatore del 2015 – ma anche degli altri criteri “desumibili in chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti)” .
Nella sentenza n. 194 depositata oggi , di cui è relatrice Silvana Sciarra, la Corte ha dichiarato incostituzionale l’articolo 3, comma 1, del d.lgs. n. 23/2015 – che in attuazione della legge delega n. 183/2014 (cosiddetto Jobs Act ) ha disciplinato il “contratto a tutele crescenti” sia nel testo originario sia in quello modificato dal decreto legge n. 87/2018 (il cosiddetto “decreto dignita'”), che si è limitato a innalzare la misura minima e massima dell’indennità.