Un avvocato, un giornalista e una criminologa raccolgono gli indizi per far riaprire nel 2009 le indagini sulla morte dello scrittore

Un avvocato, Stefano Maccioni, un giornalista, Domenico Valter Rizzo, e una criminologa, Simona Ruffini, hanno deciso di contribuire a dare una risposta a questo interrogativo che costituisce uno dei più terribili buchi neri della nostra storia. Sono partiti dalla verità processuale, l’unica sulla quale potere intervenire. Hanno letto ed esaminati tutti gli atti dei tre gradi di giudizio che il Tribunale per i minorenni di Roma, agli inizi del 2009, aveva dichiarato finalmente visionabili. Hanno trovato mille indizi che hanno consentito di depositare il 27 marzo 2009 l’istanza di riapertura delle indagini. Leggendo il loro libro “Nessuna pietà per Pasolini”, Editori Internazionali Riuniti, si apprendono fatti estremamente inquietanti: vediamoli.
Il proprietario della trattoria “Al biondo Tevere” Vincenzo Panzironi e sua moglie Giuseppina Sardegna furono gli ultimi a vedere in vita Pasolini. Nel loro locale, infatti, il poeta cenò con il suo accompagnatore. Ebbene, si legge nel libro, che Panzironi, interrogato diciassette ore dopo le 23.15 del 1 novembre 1975, descrisse il ragazzo che era in compagnia di Pasolini “di corporatura normale, con capelli biondi, mossi e lunghi fino al collo e pettinati all’indietro”. Ma Pelosi è completamente diverso, è magro e ha i capelli molto scuri. Inspiegabilmente, però, quando al ristoratore fu mostrata la fotografia di Pelosi, lo riconobbe come l’accompagnatore di Pasolini e dichiarò nel verbale: ” Controfirmo per avvenuto riconoscimenento la stessa fotografia”.
Il verbale con questa macroscopica contraddizione fu ignorato per 35 anni anche dai magistrati che riaprirono e richiusero il caso nel 2005 e poi lo richiusero. ” I tre “investigartori”, nel 2011, mostrarono una foto di Pelosi a Giuseppina Sardegna la quale disse che non era quello il ragazzo che aveva visto nel ristorante in compagnia di Pasolini e confermò che quello aveva i capelli chiari, mossi e lunghi. Resta senza risposta la domanda: quella sera “Al Biondo Tevere” con Pasolini c’era veramente Pelosi?
Un giorno Stefano Maccioni legge, per caso, sul settimanale “Sette” la recensione del libro “Profondo nero”, scritto da Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco. Il libro era basato sulla richiesta di archiviazione avanzata dal pm di Pavia Vincenzo Calia in merito alla morte del presidente dell’Eni Enrico Mattei (nella foto). Da tale documento emergevano vari elementi che potevano portare a pensare che vi fosse un filo conduttore tra la caduta a Bascapè del Morane Saulnier 760, che il 27 ottobre 1962 portava da Catania a Milano il presidente dellEnte petrolifero italiano, la scomparsa del giornalista dell’Ora Mauro de Mauro, avvenuta a Palermo il 16 settembre 1970 con il metodo della “lupara bianca” e l’uccisione di Pasolini. Dalle carte spiccava, inoltre , la figura di Eugenio Cefis, che aveva preso il posto di Mattei, e che il Sismi indicava come il vero fondatore della P2. Mauro de Mauro prima di sparire stava lavorando per il regista Francesco Rosi alla sceneggiatura di un film su Mattei. La sceneggiatura ricostruiva in chiave di sabotaggio la morte di Mattei e indicava quali responsabili Eugenio Cefis e Vito Guarrasi. Quest’ultimo era molto legato al boss di Riesi Giuseppe De Cristina, amico di Giuseppe Calderone, capo della famiglia catanese di Cosa Nostra che controllava territorialmente l’areoporto di Catania. Dagli atti di Pavia risultava che anche Pasolini aveva avanzato sospetti sulla morte di Mattei, alludendo a responsabilità di Cefis. Tali allusioni sarebbero rintracciabili nella frammentaria stesura del suo ultimo lavoro incompiuto dal titolo “Petrolio”. Il libro fu pubblicato solo nel 1992 e in esso mancavano alcune parti. Tra queste “L’appunto 21” dal titolo “Lampi sull’Eni”. Ne è rimasto solo il titolo. Fu scritto certamente perchè l’autore vi fa cenno, rimandando il lettore a quel paragrafo come a un testo compiuto. (3-continua)

Mimmo Sica

(foto ilpost.it)

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