Secondo gli inquirenti, il cutoliano latitante da 31 anni si sarebbe stabilito in Sudamerica nel 1986. Aveva documenti intestati ad un italo-brasiliano e faceva l’impresario nel settore dell’alimentazione. Recisi i legami con la camorra

NAPOLI – “Sono io, mi avete preso. Ma quel Pasquale Scotti non esiste più”. Queste le prime parole dell’ultimo dei cutoliani ai poliziotti che lo bloccavano. Scotti è stato preso in una panetteria di Recife, in Brasile. Addosso aveva documenti intestati a Francisco De Castro Visconti, un italo-brasiliano nato nel 1959. Con questa falsa identità si era stabilito nel paese sudamericano dove aveva sposato una donna del posto che gli ha dato due figli. A Palazzo di giustizia, gli inquirenti napoletani riferiscono che il superlatitante  avrebbe detto ai poliziotti: “Pasquale Scotti è morto nel 1986”. Scotti gestiva alcuni ristoranti e , secondo quanto risulta agli investigatori, aveva reciso i suoi rapporti con la criminalità organizzata. A illustrare i dettagli dell’operazione che ha portato alla cattura del ricercato, dopo 31 anni, il procuratore di Napoli, Giovanni Colangelo, il questore Guido Marino, il dirigente dello Sco, Renato Cortese, il capo della Squadra Mobile di Napoli, Fausto Lamparelli, e il suo vice, Lucio Vasaturo. Pasqualino ‘o collier è stato acciuffato mentre stava accompagnando i figli a scuola. Il camorrista è padre di due figli maschi, di 13 e 5 anni. Da 28 anni abitava nel quartiere di Sancho, nella zona ovest di Recife. Si presentava come impresario, proprietario di un’azienda di importazione di alimenti, oltre a socio di un night-club. Insieme al documento di riconoscimento falso, aveva ottenuto illegalmente il codice fiscale e persino il titolo elettorale. Ai poliziotti avrebbe detto che la  famiglia brasiliana non sapeva della sua reale identità e che decise di fuggire dall’Italia per paura di essere ucciso. Ma il mistero Scotti non si chiude qui.

 

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