Campania, nei cantieri edili si muore ancora di lavoro

Una ricerca della Fillea Cgil, il sindacato dei lavoratori delle costruzioni. Diffuso uno spot “Auguri al contrario”

Il Coronavirus non ha bloccato gli omicidi sui posti di lavoro in Campania. Nel 2020 sono state 76 le vittime sul lavoro in edilizia nella regione. L’ultimo, si è verificato, in provincia di Salerno. Una media di sette al mese nei dieci mesi in cui il settore ha effettivamente lavorato, al netto del fermo durante il primo lockdown di marzo. I dati sono stati diffusi dalla Fillea Cgil Campania, insieme alla Fillea Cgil nazionale, il sindacato degli edili che anche quest’anno ha messo in evidenza con lo spot “Auguri al contrario” realizzato da Suono Libero Sound Music, con il patrocinio del Comune di Napoli, del CFS Napoli, dell’Ente Scuola edile Salerno e del CPT Salerno. Morti che, quest’anno, si aggiungono a quelle legate al Coronavirus. “In Italia – ha detto il segretario generale Fillea Cgil Campania, Enzo Maiosi è superata la soglia dei mille morti. Quest’anno, come ricordiamo nel video, oltre alle morti legate alle tradizionali fasi produttive, nella estenuante lotta al Covid si è morti anche per aiutare gli altri a non morire. Un ossimoro potremmo dire, ma comunque una dura e triste verità. Oltre mille lavoratori morti legati da un unico filo conduttore: la morte nel lavoro. Ogni morte dovrebbe insegnarci nonché educarci affinché non debba più ripetersi e invece. Prevenire, informare e formare solo così possiamo combattere questo male incurabile delle morti bianche”, ha concluso.

Enzo Maio

Nel nostro Paese per garantire la sicurezza e la salute sul posto di lavoro c’è ancora molto da fare. Occorre un impegno continuo poiché troppo spesso abbiamo visto affievolirsi in questo decennio, tanto che ci sono ancora da emanare una ventina di decreti attuativi del complesso normativo, tra i quali anche alcuni importanti come quello sulla qualificazione delle imprese. Le buone leggi, poi, vanno fatte rispettare e, negli ultimi anni, l’apparato ispettivo ha molto sofferto per carenza di personale e per attività di riorganizzazione che non si sono ancora completate.

Di lavoro si continua a morire perché in questi anni non si è fatto abbastanza per costruire una solida cultura della prevenzione dei rischi nei datori di lavoro e nei lavoratori. Da una parte si fatica a vedere la sicurezza come un valore aggiunto, un investimento, e dall’altra non si dimostra sufficientemente matura la consapevolezza dei rischi presenti all’interno di un ambiente di lavoro.

Bisogna completare l’attuazione del Testo Unico Sicurezza, sollecitare l’istituzione di una Procura unica che si occupi di tutte le questioni legate agli incidenti sul lavoro per evitare lungaggini e soprattutto eventuali prescrizioni.

E non solo. Le famiglie dei lavoratori morti sul lavoro vivono condizioni drammatiche, ai limiti della povertà. Centinaia di madri e vedove, non solo distrutte dal dolore per la perdita affettiva ma totalmente incapaci di far fronte alla perdita economica del capofamiglia. Famiglie superstiti  lasciate al proprio destino. Mamme incapaci di assicurare nemmeno i beni di prima necessità agli orfani,  Figli colpevoli di onesti padri lavoratori non tutelati dalle istituzioni. Ragazzi che a cui nessuno potrà garantire nemmeno l’istruzione di base, il cui destino è irreversibilmente tracciato. E non finisce qui. La famiglia superstite di un lavoratore ucciso sul lavoro deve attendere almeno sette mesi per ottenere un indennizzo dallo Stato. L’Inail riconosce alla vedova una rendita mensile di 515 euro. E la cosa curiosa è che l’istituto assicurativo statale gode di ottima salute.  Scorrendo i bilanci degli ultimi anni emergono “avanzi consolidati di amministrazione” pari a circa 2 miliardi di euro l’anno,  mentre gli importi delle rendite destinate alle famiglie superstiti di  lavoratori morti sul lavoro non si rivalutano da oltre sette anni.

Ciro Crescentini

Condividi sui social network
  • gplus
  • pinterest