Il decreto dignità è un primo passo, abolire le leggi che hanno distrutto i diritti

 

Gli interventi dei giuslavoristi Notarianni e Marianni e del segretario Cgil Landini

Non si placano le reazioni sul “decreto dignità”, il provvedimento proposto dal ministro del lavoro, Luigi di Maio, normative sui contratti di lavoro, delocalizzazioni, agenzie interinali, risarcimenti per licenziamenti senza giusta causa. Sulla questione intervengono gli avvocati del lavoro e autorevoli dirigenti sindacali dando un giudizio articolato senza pregiudizi. L’Avvocato Aurora Notarianni, Vice Presidente di AGi, Avvocati Giuslavoristi Italiani  afferma che “Il decreto dignità esprime norme coerenti con la recente risoluzione del parlamento europeo, che il 31 maggio ha invitato gli Stati membri a porre misure contro gli abusi nella stipula di contratti a tempo determinato, e appresta un rimedio necessario ad impedire o comunque limitare futuri ricorsi alla Cedu, Corte Europea Diritti dell’Uomo che ha dichiarato ricevibili quelli di recente proposti contro lo Stato italiano per la discriminazione dei lavoratori a tempo determinato rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato comparabili e per la lesione dei loro diritti patrimoniali”
Stabilità e certezza dei rapporti giuridici saranno meglio garantite dalla riduzione del termine e dalla causale, nonché dall’obbligo di consegnare entro cinque giorni lavorativi l’atto scritto con cui il contratto a termine viene stipulato, misura che agevola la prova. L’aumento del termine di impugnativa da 120 giorni a 180 consente al lavoratore un maggiore spatium deliberandi migliorando l’effettività della tutela dei propri diritti – aggiunge Notarianni – Infine, traspare dal decreto una ritrovata “umanità” che non fa male perché, per dirla con Fëdor Dostoevskij, “la delicatezza e la dignità non s’imparano dal maestro di ballo ma alla scuola del cuore”.

L’Avvocato Vincenzo Martino, vice presidente AGI, sul Decreto Dignità: “Il decreto legge costituisce un primo, timido passo, diretto a contrastare la precarietà generata dal cosiddetto “decreto Poletti” del 2014 ed a rafforzare le tutele in materia di licenziamenti illegittimi gravemente indebolite dal decreto legislativo che ha introdotto il cosiddetto contratto a “tutele crescenti” – sottolinea Martino – La reintroduzione delle causali nel contratto a tempo determinato e nella somministrazione a termine è infatti un dato senz’altro positivo, in quanto tende a ricondurre queste tipologie al loro naturale ambito, quale disegnato dalla stessa normativa comunitaria: quello cioè di strumenti non ammissibili per sopperire ad esigenze strutturali delle imprese – evidenzia Martino – Così non è stato con il Jobs Act, tanto che oggi, finito l’effetto dopante della decontribuzione prevista per le assunzione a tempo indeterminato, oltre il 90 per cento delle assunzioni avviene a termine, e queste vengono reiterate senza vincoli, salvo l’attuale limite di 36 mesi.
L’obiezione secondo la quale la misura rischierebbe di incrementare il contenzioso è strumentale e speciosa: se le aziende rispetteranno le regole ciò non avverrà di certo – sottolinea ancora Martino – Peraltro ricordo che la gran parte del contenzioso di massa che aveva intasato i nostri tribunale negli anni passati, era prodotto dai comportamenti assai poco virtuosi adottati da qualche grande azienda pubblica. Basta non ripetere gli errori del passato e nulla accadrà sul piano del processo del lavoro. Il limite della nuova normativa è invece quello che essa non si applica ai contratti di durata inferiore ai 12 mesi, e dunque alla maggior parte di essi – precisa Vincenzo Martino – Rappresenta un’inversione di tendenza anche l’aumento dell’indennità da corrispondersi al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, anche se va detto che la misura, muovendosi all’interno della logica del decreto legislativo n. 23 del 2015, non è sufficiente perché non riporta le tutela reintegratoria al centro del sistema.

Sul provvedimento interviene Maurizio Landini della segreteria della Cgil nazionale:  “E’ un decreto che migliora le condizioni per alcune categorie di lavoratori. E quindi va nella direzione di dare più diritti e ridurre la precarietà. Ci sono norme condivisibili e interessanti, ma per ricostruire quanto distrutto dal Jobs act serve un intervento organico molto più vasto – dichiara Landini – Per recuperare i guasti del Jobs act bisogna riscrivere tutte le leggi sbagliate  governi di centrodestra prima e di centrosinistra dopo hanno fatto una strage dei diritti e prodotto una svalutazione del lavoro che è sotto gli occhi di tutti – conclude Landini –  La diseguaglianza è esplosa e anche chi lavora è povero e rinuncia a curarsi. Non voglio ingigantire il valore del decreto: per ridare dignità al lavoro serve molto di più

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