I governi stanno facendo morire le università del sud: fermiamo questo piano

Pubblichiamo una lunga riflessione sul tema di politiche per l’università e penalizzazione degli atenei meridionali del professor Giuliano Laccetti, presidente del comitato scientifico della associazione e-Laborazione, in occasione della presentazione dell’associazione nell’ambito del convegno “Riflessioni sulla giustizia sociale” in programma oggi all’Istituto per gli studi filosofici di Napoli

Investimenti in cultura, saperi, istruzione, università, ricerca, ecc … sono indispensabili, come in ogni
paese moderno che si rispetti, perché questi sono fattori strategici. Sono fattori strategici per lo sviluppo economico, l’aumento dei posti di lavoro (e più qualificati), lo sviluppo della democrazia, per la capacità sempre più consapevole dell’esigere diritti, per lo sviluppo della cultura della legalità, a Napoli, città particolarmente sensibile a questi temi. La cultura del merito deve attraversare tutte le fasi educative, formando i nuovi cittadini all’accettazione di precise regole.  La cultura del merito deve attraversare tutte le fasi educative, formando i nuovi cittadini all’accettazione di precise regole.  Pensiamo al sapere come consapevolezza civica e come mobilitazione delle competenze scientifiche locali chiamate ad individuare una efficace strategia per questo o quel problema, ma anche a riaffermare la capacità e la necessaria aspirazione della conoscenza e della competenza nell’affrontare e risolvere i problemi “politici” e “civili” nel loro complesso. L’associazione “e-Labor-azione” si fa carico di un protagonismo civico (pensiamo al primo de Magistris) che  a buon diritto deve rappresentare, e da cui, al tempo stesso, deve essere rappresentata, in grado quindi di partecipare direttamente all’affermazione della cultura, dei saperi.  Pensiamo infatti, ad esempio, ad una educazione alla legalità che mobilita sia l’opinione pubblica, sia il mondo giovanile, sia la vasta area di intellettuali ed insegnanti, ed operatori della formazione più in generale, che hanno nella legalità un riferimento professionale ed umano. Il sapere, infine, come realizzazione vera del diritto allo studio e ad una formazione continua, in modo da fronteggiare le necessità poste dalla dispersione scolastica (fortemente presente qui a Napoli) e dalle dinamiche occupazionali che necessitano di iniziative di qualificazione e riqualificazione professionale.

 

Riduzione finanziamenti e “importanza” università

In questi ultimi anni (almeno 10-15) governi di ogni colore, da Berlusconi a Prodi … fino a Renzi e Gentiloni, hanno perseguito, con una coerenza davvero inusuale per la politica italiana, un medesimo programma, anche se non esplicitamente dichiarato, di riforma dell’Università, quasi un pensiero unico sull’Accademia. Il risultato più evidente di questo programma, è che, in controtendenza con la maggior parte dei paesi avanzati ed emergenti, l’Italia ha disinvestito fortemente dall’università nel corso degli ultimi dieci anni.
“e-Labor-azione” vuol portare all’attenzione della pubblica opinione, degli studenti, delle famiglie, questo gravissimo atto di “ingiustizia” sociale.

Dal 2008, per l’Università  ecco i risultati: entrate strutturali -15%; FFO -22%; personale docente -17%; personale tecnico amministrativo -18%; numero di corsi di studio -18%; immatricolazioni -20%. Da notare che l’impoverimento di docenti, 17% in media, è relativamente basso negli Atenei del Nord (6-7%), alto al Centro-Sud (22% al Centro, 18% al Sud). Tagli così forti alle strutture universitarie non possono non danneggiare la ricerca e, infatti, non sono mancate le voci di protesta. È di circa un anno fa una lettera-appello di Giorgio Parisi (2016), eminente fisico della Sapienza di Roma, e di altri autorevoli scienziati e ricercatori, all’UE e ai ricercatori di tutto il mondo perché facciano pressione sul governo italiano per sanare quelle che appaiono vere e proprie ferite (elencate e descritte anche in un appello ad hoc). I fondi italiani per la ricerca di base sono, ad esempio, circa un decimo dei fondi francesi e l’Italia ha disatteso, più di altri membri dell’UE, il trattato di Lisbona del 2000 e le decisioni del Consiglio Europeo di Barcellona del 2002 che fissavano una soglia minima del 3% del PIL per ricerca e sviluppo da raggiungere già nel 2010. In un convegno svoltosi a Milano nel 2016 è stato mostrato come la spesa complessiva media del periodo 2008-2013 in Ricerca in Italia sia all’incirca dell’ 1.2% del PIL, a fronte di un 1.3% della Spagna, 1.7% del Regno Unito, 2.2% della Francia, 2.8% della Germania, e circa il 2% di media della UE a 28 membri.  Secondo le relazioni della Ragioneria Generale dello Stato, tra il 2008 ed il 2014, delle 34 grandi Missioni di cui si compone il Bilancio dello Stato, quelle che hanno subito maggiori ridimensionamenti in termini di finanziamenti, sono nell’ordine; Istruzione Universitaria (– 19,9% in media, con una riduzione cumulata pari al 119%); Fondi da ripartire (-14,5% in media e una riduzione cumulata pari all’87%) e Ricerca e Innovazione (-12,17% in media, -73,03% in termini cumulati)
E, infine, bisogna smentire, con forza e dati alla mano, alcune falsità e luoghi comuni che si sentono ormai da troppo tempo, punta di diamante di una delegittimazione “scientifica” dell’Università pubblica, da parte di media, istituzioni altre, politici, ecc ..
In Italia ci sono troppe università -FALSO: abbiamo meno università, in rapporto alla popolazione, di Spagna, UK, Germania, Francia. Inoltre, dal 2007 al 2015 c’è stata una riduzione di matricole del 12.3% (al

Sud è stata del 20.7%) ed abbiamo una bassissima percentuale di laureati: tra la popolazione di 30-34 anni, solo il 23.9%, contro il 37.9% della media europea.
Laurearsi in Italia non serve-FALSO: nel 2014, nonostante il protrarsi della crisi, il TASSO DI DISOCCUPAZIONE  tra i laureati è stato del 17.7%, tra i diplomati del 30.0% mentre tra quelli con sola licenza media del 48.1%.
In Italia le tasse universitarie sono basse – FALSO: a parità di potere d’acquisto, le tasse italiane sono tra le più alte d’Europa: 1.6 volte le tasse svizzere e 1.9 volte quelle austriache. E’ da sottolineare che nei paesi scandinavi, in Germania, ed in alcuni paesi dell’Est-europeo, gli studenti universitari NON pagano tasse.

 

 

Questione meridionale

All’interno del problema nazionale di riduzione dei finanziamenti alle Università, c’è una gravissima questione meridionale con spostamento di risorse dal Sud al Nord che si concretizza in diversi modi.

“e-Labor-azione”  è in prima fila per l’affermazione e l’ottenimento di diritti e di giustizia sociale ed equità e solidarietà e coesione, fra Nord e Sud d’Italia. Anche sulla questione diritto allo studio.

Uno dei meccanismi che sta determinando e determinerà sempre più questo spostamento di risorse è l’assenza degli studenti fuori corso dal meccanismo del costo standard di assegnazione del FFO. Infatti tagliando dal conteggio tutti gli studenti fuori-corso si fa un danno, enorme nei confronti degli Atenei meridionali che, per una molteplicità di cause e ragioni (largamente indipendenti dalla qualità della ricerca e della didattica, si badi!), soffrono di più di questo fenomeno.

In un convegno del 2016, tenuto a Napoli, il prof. Gianfranco Viesti  (autore, a capo di un team, dell’importantissimo studio “Università in declino”, Donzelli 2016), ordinario di Economia Applicata all’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”,  ha mostrato come considerando solo il 50% dei fuori corso nella applicazione del costo standard, tutti gli Atenei del Nord riceverebbero meno (in alcuni casi significativamente meno) di quanto non ricevano ora; e, per contro, tutti gli Atenei del Sud e delle Isole vedrebbero, in genere, significativamente aumentata a loro quota base di FFO, con punte di circa il 25% in più, ad esempio, per Cagliari e Catania.

Un ulteriore danno nei confronti degli Atenei meridionali deriva proprio dall’introduzione della cosiddetta quota “premiale” dell’FFO richiamata in precedenza. Dall’ammontare nazionale del FFO, una sua percentuale, progressivamente dal 7% al 25% dal 2009 al 2016, viene distribuito tra gli Atenei in base alla qualità della ricerca svolta. Quindi, tutti gli Atenei ricevono meno FFO, ma mentre alcuni potranno ridurre il danno attraverso la quota “premiale”, altri lo vedranno aumentato in quantità anche drammatiche. In questo modo si è verificato un graduale ma costante trasferimento di fondi dagli Atenei del Sud ad altri Atenei, in particolare di alcune zone del Nord. Se non ci saranno correttivi, gli effetti distorcenti di questo fenomeno subiranno un’ulteriore accelerazione: chi più ha, più avrà e continuerà ad avere; chi meno ha, continuerà ad avere sempre meno, fino al pericolo (concreto, in alcuni casi!) di chiusura! Non c’è alcun premio quindi, ma solo un “pensiero unico” non palesato né al Paese né tantomeno al Parlamento che, utilizzando una “finta” retorica del merito, mira, a creare in Italia poche Università di eccellenza, tutte concentrate nel Nord, di fatto desertificando il Meridione e parte del Centro da cultura e saperi.
L’ultimo grave colpo in questa direzione è l’annunciato travaso delle già poche risorse dal sistema nel suo complesso agli atenei del Nord e in misura minore del Centro per i tramite della “gara” prevista in finanziaria tra i dipartimenti per una quota premiale di 1,3 miliardi, che dagli algoritmi con cui sarà gestita fa prevedere che solo 180 milioni di questa somma (il 13%) andranno al Sud e alle Isole, dove insiste il 31% degli organici di docenza e di ricerca. Un colpo che sferrato rischia di produrre un suicidio assistito degli atenei del Sud (cfr. Alberto Baccini, Atenei, sfida-bluff tra i dipartimenti. Così risorse e premi vanno al Nord, Il Mattino, 18.05.2017). Un paese civile e degno della sua vocazione unitaria, almeno su questo terreno, strategico per il suo futuro, si muoverebbe come dopo la caduta del Muro si mosse la Germania: fondi aggiuntivi al sistema

universitario dell’Est, che spingevano docenti e ricercatori tra i migliori a trasferirvisi dall’Ovest. Il miliardo e trecento milioni di euro di cui parliamo per l’Italia, se ci sono, e sono aggiuntivi, andrebbero spesi “alla tedesca” sul sistema università e ricerca del mezzogiorno, e non il contrario. Così si unifica il Paese. Siamo a un punto, con questo scenario, di non ritorno per il Sud.
La valutazione degli Atenei, che come visto con il fondo premiale sposta risorse dal sud al nord, ha un effetto diretto (più finanziamenti al nord, meno al sud); un effetto indiretto: aumento di immatricolazioni in Atenei del nord, diminuzione in quelli del Sud, con successivo, inevitabile circolo vizioso di minori finanziamenti dovuti al numero di studenti; ed, ancora, c’è un vero e proprio finanziamento dell’economia del nord pagato dal sud: studenti che “emigrano” per studiare in Atenei dove secondo le ineffabili classifiche si studierebbe meglio e che consentirebbero di trovare migliori e più facili occasioni di lavoro, mentre depauperano il capitale sociale del Sud, “finanziano” lo sviluppo del Nord, accentuando proprio quel divario che la retorica politica corrente dichiara ad ogni piè sospinto, che sono poi i giri elettorali di voler colmare. E’ un meccanismo su cui è necessario un radicale intervento di revisione di sistema, che le forze politiche, in particolare quelle di sinistra e centrosinistra, dovrebbero inserire come priorità tra quelle del programma. Questione di giustizia sociale declinata in ambito di politiche universitarie.

 

 

Diritto allo studio

Un altro importante e drammatico capitolo è quello del diritto allo studio, che prevede l’erogazione a studenti iscritti alle Università di benefici quali borse di studio, alloggi, mense ed altri servizi per garantire, così come previsto dall’art. 34 della Costituzione Italiana, ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

Globalmente considerati questi studenti ammontano all’11% di tutti gli iscritti con una distribuzione regionale diversa (in regioni come Calabria e Sicilia la percentuale arriva al 18% mentre in Lombardia e Piemonte la percentuale è del 6-8%). Se si focalizza l’attenzione sulle borse di studio, i finanziamenti arrivano dalle tasse studentesche, dal cosiddetto FIS (Fondo Integrativo Statale) governativo e da altri finanziamenti delle singole Regioni. Il FIS, da assegnarsi ai vari Atenei delle varie Regioni, a sua volta tiene conto per il 50% della spesa destinata a borse di studio da parte della Regione; per il 15% del numero di posti letto presenti nella Regione per gli studenti; per il 35% del numero di studenti idonei al ricevimento della borsa. Evidentemente, l’unico parametro che ha senso è il numero di idonei. Gli altri parametri fanno sì che, ancora una volta, il FIS “premi” chi già ha di più. E non solo, perché questa sarebbe la “ripartizione” teorica del FIS. Pesa anche il fatto che l’eventuale riduzione delle risorse proprie destinate dalle Regioni alla concessione di borse di studio, rispetto all’anno accademico precedente, comporta una riduzione di pari importo della quota attribuibile nel riparto. Le eventuali somme derivanti da tali riduzioni, infatti, sono ripartite tra le altre Regioni, con il risultato che se una Regione non decrementa il proprio impegno, si vedrà ricompensata con milioni di euro, derivanti dal mancato finanziamento di Regioni che invece hanno deciso (costrette per scelta o per qualsivoglia motivo) di ridurre la loro partecipazione. Per il 2014/2015, ciò fa sì che l’effettiva erogazione delle borse coinvolga solo il 75% circa degli aventi diritto: 46.000 studenti aventi diritto non percepiscono la borsa nonostante l’art.34 della Costituzione. Di questi ben il 76% sono iscritti a università meridionali.

Le ragioni della complessiva inadeguatezza e soprattutto della pesante differenza tra aree geografiche sono da ricondurre a: un complessivo sottofinanziamento ed un sempre maggiore disimpegno dello Stato nel sostenere questo diritto costituzionale; una differenza importante tra le quote garantite dalle Regioni (si va da Regioni che coprono il 7% della spesa complessiva a Regioni che ne coprono il 53%); criteri di ripartizione che non prevedono alcun meccanismo perequativo.
Ad esempio, nel 2014 la Campania ha perso circa 3.400.000 euro, la Lombardia ha “guadagnato” circa 2.500.000 euro. È da notare che il numero di idonei in Lombardia è di 15.774 studenti (il 6% circa degli iscritti), in Campania il numero di idonei è praticamente lo stesso, 15.781 (pari a circa il 9% degli iscritti): la Lombardia per erogare le sue borse ha a disposizione circa 27.200.000 euro in più rispetto alla Campania, con lo stesso numero di idonei. Come al solito dipende tutto dai parametri che si scelgono. È stata fatta una simulazione considerando, come unico parametro, corretto, per la assegnazione del FIS, il solo numero di idonei e, sempre per fare il solo esempio della Campania, il FIS sarebbe di circa 13.745.000 euro, invece di 2.243.680. E tutte le regioni del Sud e le Isole, nel complesso, riceverebbero circa 25.000.000 di euro in più. Nel 2015/16, a causa della variazione del calcolo ISEE, decine di migliaia di studenti NON rientrano più nelle fasce di potenziali aventi diritto; c’è fortunatamente stata e sarà ancora meglio tarato l’effetto dell’ISEE sulla questione borse di studio

 


Conclusioni

“e-Labor-azione” ha l’ambizione, con le sue esperienze, le sue competenze, la sua “passione”, non, certamente, di trovare soluzioni sicure a tutti questi problemi, ma, altrettanto certamente, quella di approfondire e proporre alcune possibili soluzioni, da portare alla discussione, della società civile, delle forze politiche (innanzi tutto quelle di sinistra!), locali e nazionali, per contribuire ad una sintesi che tenga conto anche del parere di addetti ai lavori, che vivono ogni giornoi le realtà su cui si deve/vuole intervenire.

In conclusione, quello che solo apparentemente sembra essere un insieme raffazzonato, senza connessioni, estemporaneo di politiche e provvedimenti sembra nascondere un chiaro disegno: creare una sorta di piccolo nucleo di Atenei e centri di eccellenza (tutti nel Nord Italia) e abbandonare a se stessi gli Atenei del Sud (arrivando in qualche caso fino alla chiusura, come, con … coraggio – dovuto alla certezza di … impunità – hanno affermato nel recente passato alcuni dirigenti Anvur), Tutto ciò coltivando erroneamente l’idea che il Paese possa migliorare e crescere se ci sono punte di eccellenza, concentrate in alcune zone. La strada da percorrere è invece completamente diversa: finanziare e favorire una buona qualità e competenza diffusa su tutto il territorio nazionale, che, peraltro già c’è: Milano cresce e va bene non se le Università milanesi – o al limite lombarde – sono buone, ma se sono buone le Università dell’intero Paese.

Come ottenere tutto quello di cui si è parlato?

I soldi ci sono. Infatti, si è lungamente discusso della proposta di stanziare 1.500 M€ (in dieci anni) per la realizzazione dello Human Technopole, gestiti dall’ Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), un istituto di diritto privato, la cui gestione, i cui criteri di reclutamento e di utilizzo dei fondi e di produttività sono opachi anzi, del tutto oscuri, e non sono sottoposti ad alcuno dei controlli cui sono sottoposti Atenei ed Enti di Ricerca.
La senatrice e scienziata Elena Cattaneo ha più volte ripreso questa proposta.
I soldi si trovano. L’assurdità della “regalia” del bonus di 500 euro a tutti i diciottenni, indipendentemente dal reddito familiare, è una misura che a nostro avviso grida vendetta. Vero, si favorirebbe solo una parte di giovani, ma invece di regalare questi 500 euro (la spesa annuale è stimata tra 400 e 500 M€ ) si potrebbe, con la metà, pagare, ad esempio, le borse di studio a tutti gli studenti universitari aventi diritto.
I soldi si trovano. E’ di questi giorni l’approvazione (parere non vincolante delle Camere) di un Decreto Legislativo che stanzia finanziamenti dell’ordine di circa 400 M€/anno, a partire dal 2017, e li “stabilizza” PER SEMPRE, per aumentare stipendi e indennità ai dipendenti delle FF.AA., e che introduce notevoli miglioramenti dal punto di vista normativo (progressione di carriera, ecc …). Recentemente, proprio a questo proposito, un autorevole senatore PD ha affermato, scandalizzato: “le risorse pubbliche si materializzano solo quando richieste da specifiche parti dello Stato!”.

Giuliano Laccetti
(Ordinario di Informatica della Federico II di Napoli)

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