Carabiniere ucciso, gip si riserva decisione sul fermo degli indagati. I dubbi sul delitto

Trovato il coltello utilizzato nell’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega. Era nella stanza del lussuoso hotel dei due giovani americani Elder Finnegan Lee (reo confesso di essere autore materiale) e Christian Gabriel Hjort. Ma sulla dinamica troppe zone d’ombra: forse per questo il giudice rimanda la convalida del provvedimento restrittivo

Il gip di Roma, Chiara Gallo, si è riservato di decidere sulla richiesta di convalida del fermo di Elder Finnegan Lee e Christian Gabriel Hjort, gli americani accusati dell’assassinio del carabiniere Mario Cerciello Rega. Lee, il 19enne reo confesso di essere autore materiale del delitto, e Hjorth, di 18 anni, sono entrambi californiani di San Francisco e in vacanza a Roma. Al momento sono sottoposti a fermo di indiziato di delitto per tentata estorsione e omicidio aggravato in concorso. Durante l’interrogatorio, i due giovani si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.

Nella stanza dell’albergo dei due ragazzi sono stati ritrovati un coltello di notevoli dimensioni, sporco di sangue, nascosto dietro a un pannello del soffitto, e i vestiti indossati durante l’aggressione. L’hotel romani viene descritto come lussuoso: Wi-Fi gratuito, un centro fitness al piano seminterrato, tutti i comfort per il relax. Costo di una stanza per notte: 214 euro.

 

LA RICOSTRUZIONE NEL DECRETO DI FERMO. Nel decreto di fermo si legge che ”pur a fronte di parziali discordanze”, entrambi hanno ammesso le loro responsabilità in relazione al delitto di via Pietro Cossa, in pieno centro a Roma. Tutto è iniziato dal furto di uno zainetto a Sergio Brugiatelli, ora agli arresti domiciliari: per restituirglielo, i due gli hanno fatto “una richiesta di una ricompensa di 100 euro ed un grammo di cocaina”. Poi l’uomo ha avvisato i carabinieri e si è accordato con i due per lo scambio, tendendogli una trappola. I due, sperando di recuperare il denaro sottratto loro hanno pensato di restituire lo zaino a Sergio Brugiatelli in cambio ”della somma perduta e di un grammo di cocaina (circostanza questa negata invece dal Natale)”. Scrivono il pm Calabretta e il procuratore aggiunto D’Elia: artefice dell’accordo estorsivo con la vittima del furto del borsello, “in termini di partecipazione al colloquio telefonico”, è Natale, “l’unico dei due in grado di comprendere la lingua italiana”. Usciti dall’hotel per raggiungere il luogo deciso per lo scambio, i due americani si trovano davanti non lo spacciatore, ma i due militari in borghese, Mario Rega Cerciello e Andrea Varriale. “A questo punto – si legge nel decreto-, le versioni dei due sono parzialmente coincidenti in quanto il Natale ammette che il carabiniere che gli si è avvicinato si è qualificato, benché non fosse in divisa, mentre Elder nega la circostanza o comunque si nasconde dietro la propria difficoltà di comprendere la lingua italiana”. Entrambi hanno una colluttazione con i carabinieri che gli avevano detto di fermarsi, una volta qualificatisi. E “benché nessuno dei due avesse estratto un’arma, Elder, bloccato dal Cerciello, estraeva un coltello (che per dimensioni e tipo è certamente strumento idonei a cagionare grave offesa) colpendo più volte al tronco la vittima in zona vitale”. Il vicebrigadiere ha urlato e solo a quel punto, secondo  Elder, “si fermava anche Natale’. Subito dopo i due statunitensi sono fuggiti in direzione dell’albergo di Prati, per poi nascondere e ripulire il coltello. Anche sull’occultamento dell’arma i due forniscono versioni “assolutamente contrapposte, accusandosi reciprocamente”. L’arma è stata stato trovata nella stanza dell’hotel, riconosciuta da Elder come propria indicata come quella usata nel delitto: per quanto fosse difficile non notarla, l’amico ha negato la circostanza.

 

 

I DUBBI SULLA DINAMICA. Nonostante la puntuale ricostruzione degli inquirenti, sulla vicenda permangono ancora dubbi da chiarire. Il primo è il ruolo di Sergio Brugiatelli. Sarebbe stato lui ad allertare i carabinieri, fornendo una descrizione dettagliata dei ragazzi, con i quali aveva avuto a che fare poche ore prima. Non è chiaro, però, come l’uomo sia entrato in contatto con gli americani, né in quale modo abbia avvertito i militari dell’Arma. Brugiatelli potrebbe essere colui che ha indicato a Lee e Hjort, in cerca di droga, il pusher a cui rivolgersi. Uno spacciatore che li avrebbe poi beffati, cedendogli aspirina invece di cocaina. Altrettanto decisivo. per incastrare i ragazzi, il racconto del portiere e di un facchino dell’hotel dove soggiornavano i due americani, e dal quale – secondo i magistrati – erano pronti a scappare, per tornare negli Usa. Il facchino ha dichiarato di averli visti entrare nell’albergo a passo veloce, descrivendo il loro abbigliamento. Decisiva, però, è la testimonianza del carabiniere Varriale. Secondo il collega della vittima, appena i carabinieri si sono qualificati, Elder ha ingaggiato una colluttazione con Cerciello; Natale si è scagliato contro Varriale, impedendogli di aiutare l’altro militare, in procinto di essere accoltellato. Messi insieme i diversi elementi raccolti, restano zone d’ombra.  Qualche domanda sorge anche sulle modalità del servizio dell’Arma, concluso con la tragica morte di Cerciello. Da chiarire ancora, ad esempio, è la presenza di altri militari in supporto ai due coinvolti, considerando il livello di pericolosità della missione. I protocolli, in questi casi, prevedono l’intervento di un numero di operatori maggiore a due. Desta infatti perplessità la fuga degli americani – all’apparenza indisturbata – dalla scena del delitto, per rifugiarsi in un albergo distante meno di 200 metri. Inoltre, rimane misteriosa la ridda mediatica, deflagrata nelle prime ore post delitto. Le prime indiscrezioni indicavano come responsabili due africani, quindi si è parlato di un italiano e un albanese. Per molte ore si è assistito alla prevedibile sarabanda della speculazione, con la politica ingolosita dalle strumentalizzazioni. Un’ondata corale ha divulgato la certezza che gli assassini fossero migranti, forse perfino giunti in Italia con i barconi. Tra i rumors impazziti, anche l’interrogatorio di quattro persone in caserma, senza specificare il loro livello di coinvolgimento. Forti imprecisioni – quanto volute? – anche riguardo la vittima dello scippo: inizialmente, le voci la indicavano in una donna. Solo in un secondo momento è emersa la presunta verità sul borsello dello spacciatore. Come se non bastasse, c’è il giallo del “cavallo di ritorno”: possono due stranieri, poco più che ragazzini, imbastire una trattativa da delinquenti consumati? Da quanto sembra, oltretutto, gli americani non mostrano confidenza con la lingua italiana. E ancora: come si sono procurati il coltello? Gli interrogativi si moltiplicano, e rimandano all’eventualità di ulteriori colpevoli, per ora ignoti. Il quadro non si presenta chiaro. E forse, deve pensarlo anche il gip di Roma, per riservarsi la decisione sul caso, che molti considerano chiuso troppo in fretta.

 

 

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