La strage “silenziosa”

Riflessione della scrittrice napoletana Anna Iaccarino sugli infortuni, la sicurezza e la cultura sul lavoro

Numero complessivo nazionale aggiornato da inizio anno al 30 giugno 2022, sulla sicurezza sul lavoro.382.288 totale delle denunce per INFORTUNIO SUL LAVORO. 463 totale delle VITTIME.

A questi vanno aggiunti i tanti altri decessi dei successivi mesi in corso e soprattutto la strage del 26 agosto 2022, con quattro morti sul lavoro in un solo giorno, precisamente a Verona, Milano, Cremona, Taranto. Nonché quella recente del 2 settembre nel Veronese, che ha visto la morte di un operario impegnato nella manutenzione di un silos e l’’infortunio di un secondo, suo compagno di lavoro finito in codice rosso per aver tentato di aiutarlo. Ed ancora lo stesso giorno, il decesso di un altro giovane operaio nel Bresciano, travolto e schiacciato da una piastra colatrice.

Tutti accumunati da un comune strappo alla vita che grida “verità, responsabilità, giustizia”.

Questa breve riflessione non vuole essere una disamina esaustiva, tantomeno risolutiva di un tema enorme, dalle mille sfaccettature argomentative e analitiche, ma un modo per tenere viva l’attenzione e la sensibilità verso tragedie che possono e devono riguardare tutti, al fine di mantenere forti lo sdegno e le lotte a scuoterne coscienze e a determinare norme a tutela.

A partire dal soffermarsi su questi numeri riportati per scongiurare che restino solo banali dati statistici, dimenticando il “dietro” e il “dentro” di storie ed esistenze, di uomini e donne, che per quello che dovrebbe essere il sacrosanto diritto al lavoro si vedono sottratti del diritto a “vivere”, dell’abitare i giorni, del continuare il tempo del domani. E con loro le proprie famiglie, lasciate all’improvviso nel vuoto del dolore e dell’incertezza del dopo.

“Morti bianche”, questo il termine con cui sono state coniate, perché non determinate dalla mano dell’uomo, da un’arma impugnata cha spara, dalla fisicità diretta di un gesto o di un’azione omicida, ma di “bianco”, queste morti, non hanno assolutamente niente, sono sporche del nero più nero e spesso con responsabilità e colpevolezze a capo e di terzi.

Morti bianche, morti verdi (da agricoltura meccanizzata), omicidi “sul” lavoro e non “del” lavoro, dimostrano una sola cosa: che ancora oggi si muore di pane, di quel lavoro che dovrebbe dare sostentamento, dignità, socialità, e che invece toglie vite, massacra esistenze, lacera famiglie, distrugge esseri.

Questa mortalità indotta non sembra però essere un problema a carico della società, che si “dimette” e relega la questione tra imprenditore e operaio, tra datore e lavoratore, tra dirigente e dipendente, lasciandola nei soli spazi e confini dei luoghi dove se ne “dimora” lo status e i rischi a morirne.

Ma perché si continua a morire di lavoro? Le cause e dinamiche sono tante, ed a più interfaccia.

Ma un punto sicuramente concorre, ed è il sistema di produzione (principalmente agricolo e industriale) delle economie cosiddette avanzate con il “cruccio” della produttività a servizio del “sempre più”. Quel rendimento produttivo del fare presto, dell’essere competitivi, anticipare la concorrenza, aumentare i profitti.

In parte anche legittimo, ma che passa inesorabilmente dalla scelta di fare sempre più economie interne. Tutti motivi di “risparmio” che sacrificano la sicurezza, vista solo come un costo, una diseconomia, una spesa in più e pertanto non sostenibile.

Ma si muore anche e soprattutto per mancanza di una cultura del lavoro. Lo stare bene e in sicurezza, dovrebbe diventare una scelta di fattività e indirizzo, per divenirne poi un fattore di successo e di stimolo anche per lo stesso lavoratore.

E questo è possibile solo se una struttura organizzativa abbraccia, persegue e interiorizza il concetto di prevenzione, oltre che di controllo sulla qualità delle condizioni dei lavori in corso e di pianificazione periodica di programmi di messa in sicurezza.

In questo quadro assume un ruolo di connessione, non secondario, la formazione dei giovani e la centralità che in questo cammino riveste anche la scuola.

Le nuove generazioni andrebbero corroborate, già dal momento scuola, da un accompagnamento alla conoscenza, ai diritti e ai principi di un sano e sicuro approccio al lavoro, con percorsi di studio e di formazione permanente.

Azzerare i morti sul lavoro (non ridurli) dovrebbe diventare una priorità sociale, soprattutto delle classi dirigenti, fatta di impegno vero, attivo, quotidiano. Passare da un dire “parlato” alla concretezza di un “agire” pubblico, che veda in prima fila le istituzioni e tutti gli organismi sindacali e di rappresentanza a tutela dei lavoratori, muoversi su un unico binario dalla destinazione certa: la salvaguardia degli esseri umani.

Mettere in discussione il paradigma economico su tutto, ovvero invertendo il concetto del “valore della vita”, partendo dal porsi qualche domanda.

Questo ciclo economico capitalistico che crea, quanto distrugge? Quanto peso lascia e ripone nel diritto alla vita e quanto ne toglie? Garantisce anche progresso sociale o solo economico del profitto a tutti i costi?  

Domande pesanti, che vanno oltre le parole, e che richiederebbero azione, contrasto, reazioni, non vuote tabelle per dossier a futura memoria.   

Anna Iaccarino

La strada purtroppo è ancora lunga e la classe dirigente che verrà dovrebbe saper vincere le latitanze ad oggi perpetrate, avere il dovere di combatterle e garantire percorsi esistenziali di diritto. Saranno in grado di farlo? Esulando da risposte oggi più che mai ardue e foriere di incertezze, su un solo punto non si potrà abdicare: quello di mantenere sempre accesa la fiamma della battaglia sul campo, per l’affermazione della cultura della vita sopra ogni cosa.

Anna Iaccarino

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