
Il fenomeno della contrattazione “pirata” è marginale ma preoccupante quale elemento di perturbazione delle dinamiche intersindacali e di confusione nel dibattito pubblico
Il Cnel, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro ha indicato in un decalogo le sue osservazioni sul salario minimo. In poche parole il documento sostiene che il salario minimo “non risolverebbe” la questione del lavoro povero, ma che per garantire dei minimi adeguati è auspicabile un ruolo maggiore per la contrattazione collettiva, ossia del rapporto tra sindacati e le associazioni dei datori di lavoro. Questi i punti nel dettaglio:
“Il tema del salario minimo va inquadrato dentro i vincoli e gli obiettivi della direttiva europea del 2022 che governa la materia – sottolinea il Cnel – La direttiva non impone l’obbligo di introdurre un salario minimo legale. La scelta compete dunque al legislatore nazionale – aggiunge il Cnel – La direttiva esprime comunque una chiara preferenza per la contrattazione collettiva e quindi per i minimi salariali contrattuali a condizione che abbia un tasso di estensione significativo (almeno l’80 per cento).
E non solo. “L’Italia ha un tasso di estensione della contrattazione collettiva vicino al 100 per cento. La quasi totalità dei lavoratori dipendenti è coperta da contratti collettivi sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil – evidenzia ancora il Cnel – Le tariffe minime complessive dei contratti collettivi sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil superano i parametri della direttiva europea (ad oggi calcolate da ISTAT tra i 6.85 e i 7.10 euro in attesa dei nuovi dati relativi al 2021 che saranno resi noti a dicembre p.v.) e anche le soglie retributive orarie previste nelle proposte di legge in discussione in parlamento”. “Il fenomeno della contrattazione “pirata” è marginale ma preoccupante quale elemento di perturbazione delle dinamiche intersindacali e di confusione nel dibattito pubblico“.
Nel decalogo “si sottolineano aree di criticità per gruppi di lavoratori (autonomi fittizi, parasubordinati, temporanei, occasionali, stagisti), per settori o per modelli organizzativi (appalti, subappalti, franchising). Critica è anche la conoscenza e la piena informazione sulle dinamiche contrattuali e retributive. Da valorizzare è l’archivio dei contratti collettivi del Cnel“.
Il documento elaborato dalla commissione del CNEL è stato approvato in Assemblea con 39 voti a favore, 15 contrari e 8 astenuti. Il CNEL è composto da 64 consiglieri: 10 esperti, tra cui economisti, sociologi e giuristi (di cui 8 sono nominati dal presidente della Repubblica e 2 dalla presidenza del Consiglio dei ministri); 22 consiglieri sono in rappresentanza dei sindacati per i lavoratori dipendenti, 9 in rappresentanza degli autonomi, 17 in rappresentanza delle associazioni datoriali e 6 del terzo settore.
A votare contro sono stati i rappresentanti dei sindacati CGIL, UIL e USB, e cinque esperti tra quelli nominati dal presidente della Repubblica. Questi esperti avevano anche presentato una proposta per introdurre solamente una sperimentazione del salario minimo a partire dai settori più critici, quelli con retribuzioni più basse e ad alto rischio di lavoro povero.
Quella di un’introduzione sperimentale è una proposta che fanno da tempo molto esperti, perché consentirebbe di valutare gli effetti di una misura di questo tipo e di fare eventuali correzioni. La proposta dei cinque esperti comunque non è passata.