Sapri: Euro Federico Roman, cavaliere di un’idea

Il Campione Olimpico del Concorso completo di equitazione di Mosca, sul Ponty alla fonda nella baia di Sapri, tappa del periplo d’Italia a vela in solitaria

La baia di Sapri, ha ospitato, nei giorni scorsi, il Campione Olimpico individuale e argento a squadre di Mosca Euro Federico Roman. Sapri, è stata tappa del suo periplo d’Italia a vela, in solitaria, sul Ponty, Roman ha offerto ai tanti che ha incontrato un talismano di piccole e grandi ebbrezze, da grande campione che è, appassionato velista e infaticabile pellegrino. Euro Federico Roman racchiude il vento nel nome triestino, campione olimpico di Concorso Completo di Equitazione e argento a squadre alle Olimpiadi di Mosca, immaginiamo abbia imparato da subito a manovrare le vele, per poi scegliere il cavallo per competere. “Che io abbia il nome del vento di Levante lo devo a mia madre, istriana d’origine. La vela, è una disciplina alla quale mi sono avvicinato nel ‘73, quando mi sono trasferito a Roma, prima su piccole derive e barche, fin quando non ho acquistato questo 15 metri, la più grande degli scafi che avessi potuto condurre da solo e ho cominciato a preparare la traversata atlantica, del 2009”. Ordine, programmazione di un viaggio in solitaria o di una gara di equitazione su tre prove, come il completo ha diversi punti d’assieme? “Certamente la routine, l’ordine, il sapere con precisione dove sia un attrezzo che in quel momento ti occorre, a terra, come in mare aiuta a faticare di meno. Ma la differenza tra la barca e il cavallo è basilare, il cavallo è vivo e deve partecipare, aiutare se ci si trova in difficoltà. La barca è un mezzo inanimato. Imparate le manovre, si affronta il mare che è la variabile, mentre in equitazione si apprendono delle azioni che fanno parte di un bagaglio tecnico comune a tutti, ma nulla è definitivo”. Si dice che ogni cavaliere abbia il suo cavallo della vita, quale è il suo? Rossinian, che le ha regalato l’alloro olimpico? “Certo, Rossinian mi ha permesso di realizzare quel sogno che è il traguardo principe di ogni sportivo, l’oro olimpico, ma a lui, che era un cavallo federale, devo aggiungere Shamrok, col quale ho vinto due titoli italiani e ho debuttato alle Olimpiadi di Montreal, giungendo nono individuale e quarto a squadre. Il cavallo che è stato con me tutta la vita, è Pont a Didot, Ponty, il quale ha dato il nome alla barca. Affidatomi da puledro dalla Contessa Maria Sole Teodorani Agnelli, l’ho portato avanti sino alle categorie 3*/4* attuali, poi è passato sotto la sella dei miei allievi, Antonio Sanfelice sugli scudi ai campionati Yr e Diana Cosmelli, oro al campionato italiano Senior. Dopo poco lo ho acquistato e regalato a mia moglie Antonella Ascoli, la quale ha vinto con Ponty, il titolo italiano assoluto. Sono legato anche a Noriac con il quale ho partecipato alle Olimpiadi di Barcellona, un cavallo certamente più pesante e strutturato degli altri”. Credo che il riferimento filosofico della grande prestazione sia bergsoniano, ovvero il giusto mix tra tempo-vissuto, tempo-interiore e tempo-spazio. Quando il gesto artistico o sportivo è perfetto l’istante diventa infinito, non crede? “Si, credo che solo due volte abbia potuto avvertire questa sensazione: da piccolo in una delle mie prime competizioni e sul percorso olimpico di Mosca, durante il quale mi sembrava di diventare sempre più bravo, man mano che superavo gli ostacoli”. Vela ed equitazione restano due sport individuali anche se si è in squadra? “Si è così, vela ed equitazione restano sport individuali, anche se la squadra in equitazione segue una strategia comune, che va rispettata ponendosi completamente a servizio di essa. Il cavaliere, deve essere generoso, sacrificandosi per il fine comune, altrimenti non sarà mai un vero campione”. La nostra è una società “usa e getta”, ci porta a bruciare il nostro tempo e a dover bruciare le tappe in ogni campo. Quanto è cambiato l’insegnamento, la preparazione, nell’equitazione, in questi anni? “Tutto si è ammorbidito, anche il completo, che da prova militare, si è adattato alla società moderna. Dicevamo, è quasi abitudine acquistare il buon cavallo già pronto, che può favorire certo, può far faticare di meno, aiuta, ma sicuramente lascia il tempo che trova. Riguardo l’insegnamento è stato infarcito di mille corsi dai nomi e dalle sigle difficili. Tutte le parole complesse rappresentano un fallimento. Bisogna conoscere in modo estremamente profondo la materia, sbagliare anche, ma aver fiducia nel proprio istinto e nella esperienza acquisita, da quando si è saliti per la prima volta in sella, per poi riuscire ad essere soprattutto se stessi, senza cercare di scimmiottare chi si ritiene più esperto, facendo fluire e trasmettendo quella passione che ti ha portato fino lì, a scegliere questa missione speciale. Con i ragazzi sono di poche parole, con coloro a cui tengo particolarmente sono burbero”. La tempesta in mare ha un suo doppio a cavallo? “La tempesta in mare va anticipata, l’importante è essere pronti tecnicamente, fisicamente e mentalmente. Nella mia traversata atlantica, scendendo verso le Canarie, ho trascorso otto giorni nel pozzetto senza poter mettere mai il naso fuori, con la barca tutta inclinata, in bolina, l’unica certezza era che si volava. A cavallo, la tempesta non esiste e l’idea non ti deve nemmeno sfiorare, si va e basta”. Non è che durante quegli otto giorni di fortunale ha fatto voto di diventare pellegrino e intraprendere il cammino verso Santiago di Compostela? “Quel cammino, bellissimo e intenso, l’ho compiuto due volte, la prima di ritorno dalla traversata atlantica, la seconda con i miei due figli Pietro e Luca in squadra per Rio, un passaggio di testimone, dopo Mosca con me e Mauro, gli altri due fratelli Roman”. Prossima sfida Capo Horn? “Per ora, termino il periplo dello stivale, a settembre lascerò la barca per seguire mio figlio Pietro e Barraduff ai mondiali di Tryon, quindi parteciperò a Trieste alla Barcolana, che è giunta alla 50° edizione e spero di avere a bordo del Ponty, l’oro olimpico di Tokyo e bronzo di Roma della 50 chilometri di Marcia, Abdon Pamich e Manuela Di Centa, la trionfatrice delle Olimpiadi invernali di Lillehammer”. Cosa occorre per far felice Euro Federico Roman? “Una buona alternanza di socialità e solitudine”.

Olga Chieffi

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