Elezioni inglesi, il poderoso programma socialista autentica sfida al liberismo

Riceviamo e pubblichiamo volentieri un articolo di Antonio Polichetti, saggista e storico

D’Alema, dì qualcosa di sinistra!” urlava Nanni Moretti nel suo film Aprile del 1998. Finalmente, un partito politico ha trovato la forza di collocarsi veramente a sinistra, dopo la quasi trentennale egemonia neoliberista. Chiaramente, non siamo in Italia, ma nel Regno Unito, dove ci saranno nuove elezioni politiche il prossimo 12 dicembre. Si vota perché tutta la vita politica, sociale ed economica del Paese è paralizzata dalla questione della Brexit, da tre anni e mezzo a questa parte. Una decisione è più che mai urgente, ma la scelta andrà ben oltre la singola questione. Non è chiaro a molti, infatti, quanto la Brexit abbia poggiato i piedi su di un terreno destrorso  e reazionario che ha culturalmente egemonizzato il dibattito politico degli ultimi anni fino ad arrivare al risultato nichilistico di un referendum (quello del 2016) che domandava soltanto di scegliere tra l’uscire dall’Unione Europea o continuare a farne parte. Non vi era alcuna progettualità politica né minime indicazioni sulle eventuali politiche governative da intraprendere in caso di uscita dalla UE. Per questo motivo, la vittoria del “Leave” ha significato il nulla politico di questi ultimi 3 anni.

Mandatory Credit: Photo by Wiktor Szymanowicz/Shutterstock (10347414i) Labour Party supporters Labour Party rally for a General Election, London, UK – 25 Jul 2019

Come riportato da un sondaggio del quotidiano “The Guardian” (non si tratta di estrema sinistra, dunque), nel 1997, i processi di immigrazione erano avvertiti come un problema soltanto dal 3% della popolazione mentre, quando si è tenuto il referendum del 2016, era percepito come un problema chiave dal 48%. Proprio in quel momento, invece, una ricerca della Oxfam denunciava un livello altissimo di diseguaglianza sociale con l’1% della popolazione più ricca in possesso di un patrimonio 20 volte superiore al 20% più povero. Con il passare degli anni, la questione ha finito, dunque, per creare una vera e propria distorsione su come affrontare i problemi politici nel Regno Unito. Gli immigrati (europei e non) sono divenuti il bersaglio preferito. La prassi è ben consolidata. Il vento della Brexit, dunque, viene da lontano e ha continuato a spirare forte per, almeno, due motivi: la politica dissennata, economicista, ragionieristica dell’austerity neoliberista europea; l’incapacità della sinistra, in tutta Europa, di raccogliere e veicolare il consenso progettando una società in grado di unificare gli interessi e i valori delle classi lavoratrici su scala internazionale.

La Brexit è la figlia naturale di questi due errori. Perché, in primo luogo, si serve proprio dell’austerity per attaccare i valori di inclusione, giustizia sociale e welfare in favore di identità nazionali che dovrebbero godere in maniera esclusiva e, quindi, privilegiata, di diritti (quali quello alla sanità pubblica, per esempio) ancora adesso garantiti ugualmente a tutti i cittadini europei (che lavorano e pagano le tasse nel Regno Unito). Vale la pena di aggiungere che, con il salasso economico derivante da una eventuale uscita dalla UE, tali diritti riservati ai cittadini britannici verrebbero garantiti, oltre che da un aumento delle tasse sull’immigrazione, da ulteriori tagli alla spesa pubblica e privatizzazioni. Ma, al di là delle distinzioni nazionali, le divisioni tra classi sociali e le conseguenti diseguaglianze tra cittadini di serie A e di serie B sono destinate ad aumentare.In secondo luogo, mai come in questo caso, appare evidente come il nazionalismo possa plasticamente (e classicamente) divenire la valvola di sfogo strumentale di un malcontento sociale che, invece, se ben informato e sostenuto, potrebbe costituire il punto di partenza per avviare cambiamenti radicali.

E per questo motivo, per quanto possa sembrare assurdo, il voto del 12 Dicembre è quanto mai urgente non tanto per decidere in merito alla singola questione, ma per dare un indirizzo vero e proprio sul tipo di società da costruire nei prossimi vent’anni. Le conseguenze del voto saranno di carattere congiunturale, di portata internazionale, e non contingente, per dirla usando concetti cari ad Antonio Gramsci.Ed è qui che risiede la forza del nuovo manifesto del Labour Party che ha avuto il merito di riuscire a marginalizzare la Brexit (senza, però, negarne l’importanza) e lavorare, invece, ad un vero programma di radicale cambiamento politico, come non lo si vedeva da anni. Quello che è emerso, dopo due anni di dibattito interno al partito, è un ampio, radicale e aggiornato discorso diretto alla ricreazione costruttiva di una economia mista tra settore pubblico e privato. Qualcuno potrebbe ben dire: “Ma cosa c’è di nuovo?”. Ebbene, dopo trent’anni, la novità è che l’obiettivo primario di un grande partito di sinistra, di un grande partito dei lavoratori, è quello di ristabilire il principio di una forte redistribuzione della ricchezza e garantire l’accesso ai diritti sociali e civili a tutti, senza discriminazioni. Ma, cosa forse ancora più importante, questo manifesto politico ha l’immenso merito di aver alzato enormemente il livello del dibattito durante questa campagna elettorale. Nessun altro partito, ora, potrà seriamente evitare di confrontarsi con quanto è scritto nelle 107 pagine del Manifesto del Labour Party.Tra gli elementi di spicco del poderoso programma del Manifesto, vi sono un massiccio potenziamento della sanità pubblica, la riconversione energetica in favore delle energie rinnovabili e la conseguente creazione di circa un milione di posti di lavoro per raggiungere tale scopo entro il 2030, la nazionalizzazione dell’energia elettrica, del gas, dell’acqua, delle poste, delle ferrovie, lo sviluppo di un modello di welfare avanzato, un aumento del salario minimo da otto a dieci sterline l’ora e, soprattutto, fine dell’austerity tramite un cospicuo aumento delle tasse per le grandi multinazionali e per i redditi annui dalle 80.000 sterline in su. Una vera tassazione progressiva su redditi e patrimoni che i partiti di sinistra italiani non hanno mai il coraggio di proporre per delineare una sostanziale differenza programmatica dagli altri partiti. Un vero partito di sinistra non può esimersi dal far valere fortemente l’imposizione del criterio di progressività nel sistema fiscale, come stabilito, peraltro, nell’articolo 53 della nostra Costituzione.

Quello del Labour Party è un programma che sfida in maniera frontale non soltanto il Partito conservatore, ma il trentennale dominio, sterile e dannoso, dell’anarchia neoliberista. Indubbiamente, è difficile credere che tutto questo potrà realizzarsi in appena 5 anni. Ancora più difficile è immaginare una vittoria del Labour, il prossimo 12 dicembre. Ma ciò che sarà più importante sarà impedire ai Tories, ai Conservatori, di avere una maggioranza in grado di completare il disastro di questi ultimi anni. Per iniziare, sarà importante costringere i Conservatori a doversi confrontare con i numeri e a trovare dei compromessi con le istanze promosse dal Labour Party.Anche solo la realizzazione di una minima parte del coraggioso e ambizioso programma del Labour Party servirebbe a buttarci alle spalle la Brexit e le storture di un trentennio reazionario in nome di una tendenza volta a rendere la società in cui viviamo più giusta. Questa inversione di rotta è necessaria, in tutta l’Europa, per dire finalmente basta al pensiero unico (e, dunque, falso) neoliberista.

Antonio Polichetti Storico e Saggista

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